Bruxelles - Sul clima l'Europa blocca l'Italia. I tetti sulla assegnazione di quote di Co2 all’Italia "no sono rinegoziabili": lo ha detto la portavoce della commisione Ue, Barbara Hellfrich, interpellata sulle notizie stampa a proposito di una lettera del premier Silvio Berlusconi al presidente dell’esecutivo europeo Barroso, per chiedere di rivedere i tetti sulle emissioni di Co2. "I tetti sono stati definiti e adottati dalla commissione attraverso un processo basato sulla legislazione europea - ha detto la portavoce -, e non sono rinegoziabili". Il piano nazionale italiano sulle emissioni di Co2 è stato approvato nel 2007. La legislazione europea fissa in un periodo di due mesi i tempi per un eventuale ricorso.
Dati La valutazione degli esperti della Commissione Ue, dopo mesi di negoziato, si è conclusa con un parere favorevole anche se condizionato ad alcune modifiche, in particolare alla riduzione del quantitativo totale di quote di emissione proposto. L’assegnazione annua autorizzata di quote di emissione è pari a 195,8 milioni di tonnellate di CO2, il 6,3% in meno di quanto proposto dal governo italiano, che aveva chiesto di potere attribuire all’industria 209 milioni di tonnellate.
Palazzo Chigi smentisce "Il governo non ha mai chiesto al presidente Barroso di rinegoziare" le quote di riduzione di emissioni di Co2. È quanto si legge in una nota di Palazzo Chigi firmata dal sottosegretario Paolo Bonaiuti, diffusa a New York, che spiega come il governo abbia inviato una lettera al presidente della Commissione Ue "per segnalare le gravi difficoltà delle aziende italiane a causa dell’assegnazione delle quote di riduzione di Co2", ma "gli ha semplicemente sottoposto il problema, chiedendo il suo personale interessamento per arrivare a una soluzione condivisa".
Polonia ed Estonia Quanto alla sentenza del Tribunale di primo grado dell’Ue, che ieri ha annullato le decisioni con cui la Commissione aveva imposto una riduzione dei tetti delle emissioni di Polonia ed Estonia, la portavoce ha ribadito che i servizi di Bruxelles stanno ancora studiando il caso, in vista di un eventuale ricorso in appello. "La nostra azione avrà come primo obiettivo la stabilità dell’attuale mercato dei diritti di emissione (in cui la sentenza rischia di provocare una caduta verticale dei prezzi delle quote di CO2, ndr) e assicurare certezza giuridica".
La sentenza La sentenza di ieri, negando alla Commissione il potere di stabilire dei tetti alle emissioni degli Stati membri, nei casi specifici di Polonia ed Estonia, rischia in effetti di avere conseguenze di principio, se si estendesse il ragionamento a tutti i paesi membri, creando così una situazione di incertezza giuridica alla base dell’intero sistema europeo di "commercio delle emissioni", stabilito nell’ambito della legislazione per l’attuazione del Protocollo di Kyoto nell’Ue. "La sentenza ci ha molto sorpreso: in genere, i giudici comunitari prendono in considerazione lo spirito della legislazione Ue, ma in questo caso non ne hanno tenuto conto" hanno riferito fonti qualificate della Commissione. "Nello spirito della legislazione, in questo caso, l’obiettivo principale è quello di stabilire un tetto alle emissioni" proprio quello che il tribunale di primo grado ha giudicato che la Commissione non ha il diritto di imporre agli Stati membri. "Siamo molto fiduciosi di vincere in appello" hanno concluso le fonti.
Cause pendenti Da notare, infine, che oltre a Polonia ed Estonia, altri sei paesi avevano presentato ricorso al tribunale di primo grado contro le decisioni
della Commissione sui propri tetti nazionali delle emissioni. Tutte e sei le cause sono ancora pendenti. Ma i paesi, come l’Italia, che non hanno presentato ricorso entro due mesi dalle decisioni, non possono più farlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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