Cesare G. Romana
da Roma
«Cosè questo amore/ che damore muore?», canta frà Lorenzo accanto alle salme di Giulietta e Romeo. Dal viluppo di morte non sale, né potrebbe, risposta. Se non lincalzare selvaggio dei timpani: lorchestra - registrata - ascende lenta e crudele, e la tragedia si compie, gli applausi esplodono.
Magica è la scena, e magico lo scenario: tuttattorno le pietre antiche del Colosseo, al centro del palco, minuto e commosso, lautore-interprete, Riccardo Cocciante. Eccola dunque, la sua nuova opera: la terza dopo il trionfo mondiale di Notre Dame, da Victor Hugo, e quello francese di Le petit prince, da Saint-Exupery. Grazie anche a lui, il testo scespiriano non cessa di trasvolare i secoli: rimbalzando dal Cinquecento di Matteo Bandello e Luigi da Porto allOttocento di Bellini, Gounod e Berlioz, al Novecento di Bernstein e Carmelo Bene. Fino al 2005 di questa sera stregata, laria è greve di scirocco e il plenilunio romano illumina testo e vicenda, che Pasquale Panella ha tratto, con perfino eccessiva sommarietà, dal grande Bardo, e il cantautore di Saigon ha vestito di musica, cantandone tutti i ruoli in attesa della «prima» teatrale, annunciata a Verona per il 2007.
Eccolo al centro del palco, vestito di bianco, per scenografia un sobrio mutare di luci e il décor mozzafiato dellAnfiteatro Flavio, trecento invitati in platea. Ecco «la giovinezza spezzata» di Giulietta e Romeo, perpetuata dal canto «che rende infinita la vita», annuncia Cocciante, e un tema dolce e crescente annuncia, premonitorio, lincombere del dramma. Ecco il litigio tra Capuleti e Montecchi, e la scansione musicale si fa tagliente, aspro il fugato delle voci contrapposte e cupo il contrappunto degli strumenti. «Non lodio, lamore», invoca Romeo: e dispiega il suo madrigale sul flusso degli archi e dei cori. Riccardo alterna la propria voce, bellissima e roca, con la propria voce registrata, così da accrescerne leffetto drammaturgico: e laria di Mercuzio, La regina della notte, salpa su uno scalpiccio di violini pizzicati, la festa dei Capuleti ha giocondità falstaffiane, sulle voci intrecciate di maschere, giocolieri e invitati salzano quelle di Giulietta e Romeo. Così lelegia sinsinua tra lirruenza del baccanale e decolla lutopia dellamore: «Se stringo la tua mano/ io stringo la tua vita/ e finalmente abbiamo/ la nostra vita in mano», canta Cocciante-Romeo e risponde Cocciante-Giulietta. Ma lanatema di Capuleti e Montecchi disperde i vapori del sogno, «Giulietta, se la vita è morire - canta linnamorato, presago - ho vissuto la vita per morire damore».
Un tema da danza antica spalanca il secondo atto, il coro grave dei frati parla della fragilità dei fiori, che è la stessa dei sogni, e dellintreccio di vita e di morte che è lesistenza, di dolcezza e brutalità che è lanimo umano. Gli archi raccontano lestasi e lo smarrimento della notte damore, totale eppure effimera: frà Lorenzo benedice i due amanti e la loro «sfacciata felicità», che già le spade sincrociano. Tebaldo uccide Mercuzio e Romeo uccide Tebaldo, il ritmo è quello spietato duna danza di guerra e la tragedia precipita: moriranno entrambi, i due amanti, uccisi da una pozione venefica e da un destino sgarbato. Li soccorre la musica: rotonda e assoluta anche là dove i testi si fanno inutilmente iterativi, e il canto, per contro, incalza, perentorio.
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