Cofferati: governo senza futuro se si arriva a insultare Damiano

Antonio Signorini

da Roma

«Non ci sto a finire sotto il fuoco amico». L’Unità amplifica l’amarezza di Cesare Damiano di fronte alla manifestazione anti precarietà di sabato. E a un giorno dal corteo dello striscione dei Cobas nel quale si chiede al ministro del Lavoro di dimettersi perché «amico dei padroni», continuano a sfilare amici e nemici. Tra i primi si è collocato il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, segretario generale della Cgil quando anche Damiano era un sindacalista della Fiom. Quello contro di lui è un «volgarissimo attacco» che - ha detto Cofferati riferendosi ai manifestanti - da parte di «persone con robusta esperienza che continuano a non prendere atto di come sia grave sostituire ragionamento, merito e confronto, anche aspro, con l'insulto e con la violenza verbale». La presenza degli esponenti del governo «è assolutamente priva di senso e incomprensibile». Sottosegretari e viceministri «hanno sedi nelle quali possono far valere le loro opinioni». L’ultima stilettata di Cofferati è un atto di sfiducia verso il futuro del governo. C’è una «contraddizione irrisolta» all'interno dell’esecutivo «che se non trova sbocchi positivi può portare a danni, il venir meno della coesione necessaria».
Le parole del primo cittadino di Bologna non hanno scoraggiato i «radicali» della coalizione che rivendicano, quantomeno, il merito di ispiratori degli interventi futuri del governo in tema di mercato del lavoro. È il caso del segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano che attacca Cofferati (le sue sono parole «stonate», ma «ormai su questi temi si è ritagliato il ruolo di perfetto conservatore»), assicura di aver contrastato «con forza e determinazione» ogni attacco personale verso Damiano e interpreta il corteo come uno stimolo del «movimento contro la precarietà» ad «andare avanti con più decisione verso un modello sociale alternativo, in cui la stabilità e la sicurezza siano le caratteristiche dominanti del mercato del lavoro». Sia Giordano sia il presidente dei senatori di Rifondazione Giovanni Russo Spena respingono il paragone con gli anni di piombo. Su una cosa sono d’accordo sia i «radicali» sia i «riformisti» della maggioranza. E cioè l’applicazione del programma di governo dell’Unione nella parte che riguarda il lavoro. Lo dicono, in termini non dissimili, Russo Spena e Cofferati. E anche Damiano: «il ministro del Lavoro persegue il cambiamento, non fa proclami, ma segue quanto scritto e concordato nel programma dell'Unione da tutti».
E il sospetto che cresce dentro sindacati e associazioni rimaste fuori dalla querelle sulla manifestazioni e dai relativi strascichi, oltre che nell’opposizione di centrodestra è che tutto lo scontro sulla manifestazione serva a nascondere la vera partita, cioè l’annunciata riforma dei contratti a tempo anche senza il consenso di sindacati e imprenditori. A richiamare l’attenzione su questo aspetto è Maurizio Sacconi, ex sottosegretario al Welfare e senatore di Forza Italia, secondo il quale «la dialettica della sinistra antagonista non può mettere in ombra il fatto che il Ministro del Lavoro abbia deciso di ridimensionare l'istituto più essenziale per la flessibilità del mercato del lavoro».
Se il ministro riuscirà a portare a termine questo atto di forza fortemente osteggiato da Confindustria, dalla Cisl e dalla Uil, secondo Sacconi sarà «un colpo mortale al lavoro di Marco Biagi».

Il giuslavorista ucciso dalle Br spinse il governo di centrodestra a recepire l’avviso comune siglato dalla totalità delle parti sociali, fatta eccezione per la Cgil. Oggi si profila una situazione opposta, con una legge che, se passerà, non potrà che rispecchiare la posizione della sola Cgil.

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