da Roma
«Accordo storico» convengono all’unisono Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi, fresco di nomina di «re dei re d’Africa», attribuitogli da 200 capi tribù convenuti a Bengasi per il 49° anniversario della rivoluzione che detronizzò (31 agosto 1969) re Idriss. E se nel testo sottoscritto dai due leader si chiude, «finalmente una pagina del passato, mettendo fine a 40 anni di incomprensioni con un riconoscimento completo e morale dei danni inflitti dall’Italia alla Libia durante l’epoca coloniale», come osserva il premier italiano, c’è anche tanto spazio da dedicare al futuro, previsto nero su bianco: «È una intesa che spalanca le porte per una futura cooperazione e partnership tra Italia e Libia» concede infatti Gheddafi.
Cinque miliardi di dollari in 20 anni (250 milioni l’anno) non sono pochi. Serviranno a costruire l’autostrada costiera che dal confine tunisino arriverà in Egitto passando per Tripoli, Misurata, Bengasi, Marsa: 2.000 chilometri che dovrebbero essere affidati a imprese italiane. Ma anche a realizzare infrastrutture e abitazioni (200), a fornire borse di studio a giovani libici che sceglieranno le nostre università e a fornire pensioni d’invalidità a quei cittadini della Jamahiriya mutilati dalle mine piazzate dagli italiani tra il 1911 ed il 1943.
Un costo non indifferente per Roma. Che Berlusconi ha comunque deciso di pagare, convinto da un lato di potersi finanziare con un incremento delle quote di petrolio libico commercializzato dall’Italia, dall’altro di potere finalmente riaprire le porte alle nostre aziende che non solo hanno un robusto credito da rivendicare con Tripoli, ma che ultimamente si erano trovate davanti «barriere e discriminazioni» proprio per il mancato raggiungimento dell’intesa tra i due governi.
Non basta. Nel «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione» firmato nel palazzo che fu la residenza del governatorato italiano a Bengasi, si è scritto che i due Paesi rafforzeranno, oltre che le collaborazioni in materia scientifica, culturale ed energetica, anche «la lotta al terrorismo, alla criminalità e alle organizzazioni che sfruttano l’immigrazione clandestina».
«Lotta contro i commercianti di schiavi» l’ha definita Berlusconi che, ringraziato Gheddafi per gli impegni assunti («Meno clandestini e più petrolio» ha sintetizzato con una battuta) ha consegnato personalmente all’ospite quella Venere di Cirene - copia ellenistica della perduta Venere di Prassitele - che gli italiani rinvennero sulla costa libica poco dopo la fine della guerra contro i turchi. Ulteriore segnale di disponibilità che i libici sembrano avere apprezzato. Tant’è che non hanno sollevato obiezioni al fatto che sia Finmeccanica a mettere a punto il sistema radar che, cofinanziato dalla Ue, reclamavano per far fronte all’ingresso di clandestini dal centro-Africa sul loro fronte sud. Intervento italiano anche sulla costa: come già definito (ma mai applicato) nell’intesa con l’ex-ministro degli Interni Amato, 3 guardacoste e 3 corvette della Marina Militare saranno affidate temporaneamente a Tripoli per perlustrare le acque da cui partono i barconi carichi di clandestini verso nord.
C’è ancora qualche dettaglio da mettere a punto: i libici vorrebbero che pure Malta si aggregasse al controllo, come ha detto il ministro degli esteri libico Abdelrahman Chalgam, annunciando che la prossima settimana potrebbe esserci un vertice a La Valletta col suo collega maltese e con Frattini. In attesa che prenda il via - a breve - il pattugliamento costiero, Berlusconi, che a Bengasi ha incontrato anche il vice-premier russo Serghei Ivanov («Colloquio lungo e cordiale»), è tornato a Roma più che soddisfatto: «lascio a voi il mio cuore felice per esser riuscito a metter da parte tutto ciò che non era amore e guardare verso il futuro con amicizia e fratellanza.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.