Washington - Senza troppe cerimonie, ma con evidente soddisfazione, George Bush ha incassato finalmente l’«assegno» che gli permette di continuare la guerra in Irak e in Afghanistan. Metterci la firma sotto è toccato a lui, che ha reso così esecutivo il famoso e controverso stanziamento di 100 miliardi di dollari. I leader democratici hanno perso questa battaglia e, almeno in apparenza rassegnati, suscitando reazioni anche aspre nella loro base militante. Ma la partita non è finita qui. Nelle stesse ore, infatti, c’è stata una redistribuzione di carte.
Fonti della Casa Bianca hanno lasciato trapelare, attraverso il New York Times, l’intenzione del presidente di cominciare lui, fra non molto, a riportare a casa dei soldati da Bagdad. A una data collocabile nell’estate 2008, e dunque in coincidenza non interamente casuale con le «convenzioni» nazionali dei due partiti che nominano i candidati alla Casa Bianca. Gli autori delle «voci» hanno lasciato trapelare anche dei numeri: uno «scenario» preso in considerazione contempla il rientro di circa un terzo degli effettivi, che attualmente sono 145mila e dovrebbero scendere entro quindici mesi a meno di 100mila. Ciò sarebbe reso possibile da un «ridispiegamento»: via da Bagdad e dall’Anbar, teatro principale degli scontri oggi, stazionamento in alcune basi lontane dalle città, nuova priorità all’addestramento delle truppe irachene. Un’evoluzione sottolineata dal progetto che, entro la fine del 2008, dovrebbe essere dimezzato (da 20 a 10) il numero delle brigate di combattimento».
Questo piano sarebbe caldeggiato dal ministro della Difesa Robert Gates e dal segretario di Stato Condoleezza Rice, con l’appoggio di una parte degli alti gradi del Pentagono, ma incontrerebbe le riserve dei responsabili di «teatro», i generali David Petraeus e Raymond Odierno, che avrebbero messo in guardia contro «accelerazioni» legate a scadenze politiche. È rimarchevole la somiglianza tra le intenzioni ora attribuite all’amministrazione e le raccomandazioni formulate molti mesi fa dal «gruppo di studio» presieduto dall’ex segretario di Stato James Baker (citato da Bush ben quattro volte durante la sua conferenza stampa); con un nuovo accento, secondo il New York Times, sul «riconoscimento che l’attuale livello di forze non è sostenibile né in Irak, né nella regione, né nell’opinione pubblica americana».
Quasi immediate, e previste, le precisazioni ufficiali: non ci sono piani fissi. «Certo vorremmo ridurre il livello delle truppe, ma dipenderà dalla situazione militare».
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