Il re degli scoop Alfonso Signorini svelerà il dietro le quinte di un'opera tanto amata quanto fonte di lacrime. È La Bohème di Puccini, intrigo di amori e di sogni di quattro giovani della Gen Z di due secoli fa; con loro un po' tutti sogniamo e piangiamo quando Mimì, la fanciulla dalla gelida manina, muore ventenne in una soffitta. Ed ecco Puccini, toscanaccio, sdrammatizzare scarabocchiando sulle ultime pagine del manoscritto, ieri in esposizione per il lancio dello spettacolo, un teschio con la parola «Mimì».
Signorini debutta all'Arena di Verona con Bohéme, che è opera invernale, fiocca dall'inizio alla fine, ed è intima però va pensata per uno spazio da 13mila posti quale l'Arena. Ulteriore sfida per Signorini il fatto che di mestiere faccia il giornalista, che abbia raccolto tanti successi, conseguenti denari dunque altrettanta invidia. In sintesi, ogni volta che fa una regia, tanti nasi si arricciano, a prescindere. Di fatto, differentemente da una bella fetta di scrittori - a diverso titolo - di musica, ma anche di registi, la musica l'ha studiata, cosa certificata da un diploma e dalla pratica quotidiana, ogni dì suona il pianoforte. Poiché conosce la materia, non pontifica e la rispetta. «Non sarà la mia Bohème, ma la Bohème di Puccini. Il regista è al servizio della musica e dell'autore, non viceversa», dice. Ai posteri - del 19 e 27 luglio, data degli spettacoli - l'ardua sentenza. Parole sante, date le troppe regie che si fregiano di modernità ma che di fatto sono solo balorde nel voler riscrivere vicende e archi temporali. Signorini rispetterà la tradizione, assicura, trova solo espedienti per far vedere in presa diretta quel che accade ai protagonisti mentre non sono in scena.
In questi giorni alla Scala è tornato il Ratto dal Serraglio di Mozart nella
produzione classe 1969 di Strehler. Spettacolo freschissimo, geniale, che non solo non è archeologia, seppellisce semmai una serie di produzioni di recente confezione, senza idee se non quelle strampalate di registi egotici.
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