(...)Come se non fossero stati proprio questi ultimi a chiedere ai primi di rappresentarli. E come se molti degli elettori, in realtà, non avrebbero voluto a loro volta essere candidati e tutti i candidati, eletti.
Ciascuno di questi accolti nelle liste, infatti, avrà pur avuto contatti e rapporti con un partito, con dei leader con dei capi o capetti che gli hanno offerto (o ai quali egli ha insistentemente chiesto) la candidatura. Dopodiché avrà pur fatto un minimo di campagna elettorale, parlando con la gente, con i suoi potenziali elettori. Quindi, per farla breve, il tramite, il collegamento, la comunicazione fra elettori, anzi fra cittadini ed eletti, cioè fra «società civile» e i politici è, se si vuole, diretto e facile. Anzi non cè distinzione, barriera o diaframma che giustifichi lartificiosa e stucchevole retorica sulla diversità etica della «società civile». Tanto più se teniamo conto dei numeri ai quali accennavo allinizio: a Milano un candidato ogni 500 cittadini. I politici o aspiranti tali, cioè, sono ben diluiti, ben distribuiti nella società.
Per dirla tutta: in realtà la «società civile» è sempre, secondo la sinistra, quella parte di società che, quando la sinistra è allopposizione, sta allopposizione. Anzi è «civile» proprio perché sta allopposizione. Qualunque sciocchezza dica, qualunque posizione bislacca sostenga.
È quindi totalmente falso sostenere che non cè comunicazione fra la politica e la «gente», termine, questultimo, altrettanto abusato, retorico privo di significato reale quanto «società civile». È proprio la diffusa presenza di quelli che con la politica hanno contatto, un candidato ogni 500 milanesi - una soluzione ad alta concentrazione, si direbbe in chimica - a dimostrare che la comunicazione è facilissima. Oltre tutto a Milano il rapporto diretto e agevole fra amministratori e amministrati è una tradizione secolare.
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