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"Una commissione sulla strage di Bologna"

Intervista a due familiari delle vittime: "Le sentenze non hanno stabilito la verità". La coppia emiliana ha scritto a Fini e agli ex terroristi: "La pace è possibile, se qualcuno vuole ancora l'odio se ne assuma le responsabilità"

"Una  commissione sulla strage di Bologna"

Dal lutto può nascere amore, capacità critica, desiderio di riconciliazione, non necessariamente la rabbia volgare che anche quest’anno ha macchiato il ricordo della Strage del 2 agosto a Bologna. Ci sono due vittime che non si sono piegate alla logica delle memorie separate e contrapposte, che dall’Associazione tra i familiari se ne sono andate quietamente ma fermamente, che hanno subito un bel po’ di insulti da bolognesi faziosi e da giornalisti telecomandati, ma hanno seguito la strada della verità, almeno di quella possibile, e allo Stato italiano chiedono che «si assuma finalmente la responsabilità di certezze che i processi conclusi non hanno saputo fornire, di rimediare alla piaga nazionale rappresentata da sentenze definitive orbe dei mandanti».

L’ultima lettera Anna Di Vittorio, che ha perso il fratello, e Gian Carlo Calidori, che ha perso l’amico più caro, e in quei giorni ha conosciuto Anna, l’hanno scritta al presidente della Camera, Gianfranco Fini. Chiedono una sola Giornata in memoria delle vittime del terrorismo. Chiedono l’istituzione di una Commissione Nazionale di Verità e Riconciliazione. Da quasi due mesi aspettano con fiducia una risposta, sono perseveranti, dei veri rompiscatole dell’educata e civica fermezza.

«Una volta, una persona ci ha detto: ma come potete pretendere di pensare di paragonarvi ai famigliari delle vittime illustri, ai figli di...? Voi due siete quelli dei morti nel mucchio. È vero. Quando il presidente Napolitano ha piantato il Melograno che gli abbiamo donato, abbiamo mandato la foto dell’albero a una persona che ci ha risposto che noi siamo due necrofili. Non è vero. Con i nostri gesti e le nostre lettere noi ribadiamo concetti civili e politici, lo facciamo da molti anni. Il primo è che la Guerra Fredda è finita, che possiamo fare la pace nella “verità” possibile, nella “giustizia” di questo mondo, nella “riconciliazione” praticabile».

Possono sembrare parole di due sognatori, ma la richiesta contenuta nella lettera a Gianfranco Fini, di cui mi mostrano una copia, è precisa e non so dire se si rendano conto Anna e Gian Carlo di quanto eversiva possa essere nel Bel Paese che come pochi altri pratica teoremi giudiziari e sapienti insabbiamenti.

«Ora abbiamo il “9 maggio”: la Giornata della memoria delle vittime dei terrorismi e delle mafie. La Legge dello Stato - finalmente - riconosce l’uguaglianza di tutte le vittime: perché nel mondo siamo tutti uguali davanti alla morte, e in democrazia siamo tutti uguali davanti alla legge. La Legge dello Stato ci consente di oltrepassare - definitivamente - la stagione delle memorie separate e contrapposte, che sono state il lascito più subdolo e velenoso della stagione dei terrorismi. Se poi qualcuno vuole continuare a coltivare e praticare l’odio, si senta libero di farlo assumendosene, però, ogni responsabilità. Abbiamo chiesto a Gianfranco Fini di trasformare il ricordo, che è anche quello della morte di Aldo Moro e di Peppino Impastato in una sola Legge dello Stato. Ora che la Guerra Fredda è finita, possiamo avere la giustizia e la pace, quelle vere. Per questo offriamo l’idea di istituire la “Commissione per la Verità e la Riconciliazione”, sulla base della nobile esperienza sudafricana di Nelson Mandela e Desmond Tutu. Alla Commissione non chiediamo la Verità Assoluta ma le verità possibili, quelle che processi conclusi non sono state in grado di fornire. La “Commissione” deve essere affidata alle Istituzioni, non ai partiti; a giuristi e storici, non a politici nell’esercizio delle loro legittime funzioni. La Commissione non emette sentenze e non eroga pene. Suoi compiti primari sono quelli di farci conoscere le “verità possibili” sulla storia dei terrorismi, delle stragi e dei delitti di mafia; di costruire le condizioni per rendere possibile la riconciliazione praticabile, lasciarla almeno ai nostri figli».
La loro riconciliazione personale e concreta Anna e Gian Carlo l’hanno fatta quest’anno, il 25 aprile, quando hanno scritto una lettera a Francesca Mambro nel giorno del suo compleanno. Da allora si sono conosciuti meglio, il carteggio si è fatto fitto, si sono incontrati per pranzare insieme, c’era anche la figlia di Francesca e di Valerio Fioravanti. «Siamo concittadini e riconciliati. Confidiamo in Francesca: nella sua capacità di rispettare, con pacatezza, i sentimenti altrui; nella sua magnanimità di spirito. Confidiamo in Valerio: nella sua pazienza e nella sua tolleranza; nella sua capacità di provare e dimostrare affetto. Sapevano che nella Strage alla Stazione di Bologna è stato ucciso - insieme agli altri - Mauro Di Vittorio, il fratello di Anna. Abbiamo detto loro che nel corso del tempo, abbiamo elaborato il lutto, superando il pur legittimo dolore personale e familiare.

Dal 2001 abbiamo cominciato a rendere pubblico questo nostro impegno civile di ricordo, pace, riconciliazione. Non ci fermeremo, con educata fermezza».
Che lezione, cari lettori, alla piazza furiosa di due giorni fa, e che lezione per il sindaco Cofferati, che confonde la verità giudiziaria con la verità storica.

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