«PER IL COMUNISMO» I due erano membri di un gruppo che si ispirava alle Br

Patricia Tagliaferri

L’immagine di una pistola Tokarev, identica a quella che ha sparato a Genova. Un foglio che la descrive. Ma anche due mitragliatori Agram e semiautomatiche con il colpo in canna. Bombe a mano, polvere da sparo, detonatori. Targhe d’auto e moto rubate. Documenti strategici e di rivendicazione. La pista seguita sulla gambizzazione dell’ad dell’Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi parte da questi «dettagli» elencati dalla Digos nel sequestro, nel 2009, di un arsenale a Sori, levante di Genova, a casa di Riccardo Massimo Porcile, condannato a 7 anni e 6 mesi per partecipazione ad un’associazione sovversiva denominata «Per il comunismo, Brigate Rosse». Agli investigatori sembra più di una coincidenza il fatto che proprio la pistola di quella foto, mai usata dal vecchio partito armato, sia quella di via Montello.

MITRA E BOMBE A MANO

E anche per questo Porcile, considerato «il custode del patrimonio ideologico» del gruppo, è stato perquisito in carcere insieme al «collega» genovese Giafranco Zoja, pure lui organico alla stessa organizzazione eversiva, condannato per l’attentato alla caserma della Folgore di Livorno. Attraverso la lettura della corrispondenza, le visite ricevute, i pm cercano un link con l’agguato, anche se allo stato si naviga a vista in un mare di ipotesi. La storia di Porcile e Zoja il Giornale l’aveva anticipata a poche ore dall’attentato, ricordando come i due fossero considerati i «referenti liguri» di un gruppo marxista-leninista che da Roma a Milano si ispirava alle Br prefissandosi «azioni di propaganda armata per ricompattare le forze rivoluzionarie residue». Alla coppia, e alla pistola, ci si arriva scorrendo l’atto di sequestro della santabarbara: in uno zaino Invicta la Digos trova un «foglio formato A4 scritto su ambo i lati recante descrizione con immagini di una pistola “Tula Tokarev TT30 e TT33”» e un altro «recante esploso della pistola Tokarev» oltre a bocche di fuoco di tutti i tipi. Spuntano fuori pure documenti ispirati al terrorismo («Contributo all’analisi di fase per la ripresa dell’attività rivoluzionaria», «Il partito comunista combattente», «Organismi Rivoluzionari Combattenti della Brigate Rosse»).

IL CROCEVIA DI RAPALLO

L’Antiterrorismo pensava d’aver stroncato una cellula brigatista capeggiata da Luigi Fallico (morto in cella), ma la corte d’Assise dirà che quell’arsenale non faceva parte di un’organizzazione terroristica, ma era riconducibile al solo Porcile. E che i militanti arrestati con lui, andavano assolti (pur essendo stati contattati per alcuni dei 17 «incontri di organizzazione», alcuni programmati a Rapallo), in altra parte condannati non perché volevano sovvertire l’ordine democratico ma per «cospirazione politica». Come Zoja, «referente ligure ed esecutore dell’attentato alla caserma di Livorno» dove rimase ferito un parà, che temendo di essere intercettato dopo una manifestazione al porto di Genova, «ha cercato di disfarsi di numeri e documenti».

«PRONTI A COLPIRE»

Eppure il gruppo «Per il Comunismo Brigate Rosse» era pronto all’azione, e non solo per il progetto di attentato con aerei telecomandati al G8 alla Madallena. Nel loro ricorso d’appello i pm romani osservano come «le armi fossero pronte all’uso, (una pistola aveva il colpo in canna, la bomba, l’esplosivo e i detonatori erano perfettamente efficienti) e dal rinvenimento, unitamente al materiale bellico, di una targa anteriore e posteriore». Le stesse «metodiche comportamentali» dei militanti richiamavano il modus operadi di brigatisti: «Telefonate in codice rigorosamente con monete», «utilizzo di e-mail riservate» (anche nella disponibilità dell’allora latitante Maurizio Calia, non imputato), «frasi criptate», espressioni dal lessico brigatista come «recuperi» (che sta per appuntamento saltato) «le tecniche di contropedinamento» quali «voltarsi indietro, cambiare strada, prendere l’autobus al volo, trasferirsi separatamente verso il luogo dell’appuntamento»

IL COVO E CURCIO

Nonostante due anni di indagini e una prima sentenza, ancora nulla si sa di un «garage-covo» cui fanno riferimento due componenti della formazione eversiva e che potrebbe custodire armi e segreti. Nelle carte spunta un riferimento anche al fondatore delle Br, Renato Curcio, che prese parte insieme all’ex Br Tonino Paroli, alla presentazione del libro «Fuga in avanti» del milanese Pietro Manolo Morlacchi (figlio di due brigatisti, indagato e assolto in questo procedimento).

In un file del pc di Morlacchi si riporta l’intervento dell’autore che definisce «strategico, e non tattico, l’uso della lotta armata» auspicando «la fusione in un’unica strategia del movimento politico e di quello militare».

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