Turi Vasile
Non provo ritegno alcuno a confessare apertamente di aver ascoltato con estremo interesse proprio tutta la conferenza stampa con il Presidente del Consiglio, trasmessa venerdì scorso da Raiuno, e di esserne rimasto consolato. Le risposte di Berlusconi mi hanno liberato, con il loro tono generale, dallo smog pestifero del disfattismo ad ogni costo, diffuso dai monatti dell'Unione.
Né provo ritegno alcuno a confessare che darò il mio voto a Silvio Berlusconi. Sono consapevole che questa mia consolidata decisione non fa notizia, ma il mio voto, in sé trascurabilissimo, di una persona comune senza voce in capitolo e senza velleità di carriera politica, somiglia a quello di ogni singolo cittadino che sta alla finestra guardando la piazza in ebollizione, in attesa di prendersi la rivincita.
Non è chi non riconosca, volente o nolente, che Berlusconi è l'unico homo novus presente nel Paese, tutti gli altri, avversari o alleati, essendo gravati dal fardello di un passato ineliminabile e, in alcuni casi, nostalgico, con i loro errori, le loro colpe e i loro meriti, tutti in ogni modo condizionanti, dai post-comunisti ai post-fascisti ai democristiani. Berlusconi rappresenta invece il nuovo con i suoi vantaggi e con le sue incognite. Egli intanto vi lavora con puntiglio e a tempo pieno. Egli è, qualunque sia il giudizio che se ne possa dare, la concretezza; gli altri sono in genere l'astrazione.
Ho l'impressione che questa sua dote abbia intimidito gli invidiosi e imbarazzato gli avversari. Sintomatiche al riguardo le numerose pagine che il Corriere della Sera del giorno dopo ha dedicato ai detrattori del Cavaliere.
Per quanto mi riguarda, sempre nella piena coscienza di essere ininfluente, ma avendo lunghissima dimestichezza con il linguaggio delle immagini, ho tratto dalla performance presidenziale il dovere della mia fiducia. A chi, peraltro, potrei accordarla? A Prodi che fa da traballante ponte tra le due opposte sponde del suo schieramento e con cachinni, smorfie, falsetti e bofonchiamenti si proclama portatore di un programma che non c'è? O dovrei fidarmi dei suoi capi tribù, di D'Alema per esempio che dall'alto della sua boria non dà confidenza a nessuno e sempre va più somigliando a Monsieur Verdoux di chapliniana memoria, espressione di una fredda intelligenza che mi è venuta a noia? O di Fassino diventato il salice piangente della sinistra e anche con i suoi improvvisi e veementi isterismi ha finito di essere autorevole come quando era parco di parole? O di Rutelli che non si stanca di scandire solennemente sempre le stesse sentenze, glatus vocis? Tutt'al più una certa considerazione potrebbe essere accordata al Dandy del proletariato Bertinotti e al meno raffinato Cossutta, i quali non nascondono falsi scopi, confermano con i simboli e le idee la sopravvivenza del comunismo, e giustificano così il nostro irriducibile anticomunismo.
Voterò tuttavia Berlusconi non per esclusione, ma per convinzione. Egli tra l'altro è insidiato dall'interno da alcuni narcisi risuscitati per grazia ricevuta dal sepolcro dell'oblio e avversato dalle forze trasversali della reazione sempre più patente in difesa di interessi creati. In esse prevale la nostalgia per quell'ibrido che fu, dello Stato liberale innestato dall'assistenzialismo e che oggi vede alleati i plutocrati con i proletari del salotto buono. Nonostante si spaccino per progressisti essi sono, per esempio, contrari al progresso che ci metterebbe al passo coi tempi, dalla Tav all'energia nucleare alle grandi opere.
Tutte queste avversioni per Berlusconi, in apparenza viscerali, in realtà egoisticamente interessate, potrebbero fruttargli come conseguenza una maggiore solidarietà e una personale simpatia umana. Egli ha, in ogni modo e ancora una volta saputo comunicare quel che ci abbisogna: la speranza.
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