Un vino acquista l'appellativo di «fine wine» e diventa un buon investimento se - spiega Justin Gibbs di Liv-ex - rispetta determinati parametri. «La bottiglia deve essere ben conservata, proveniente da cantine certificate o dal produttore stesso. Contano poi l'annata, il prestigio del marchio, non necessariamente, invece, sono importanti la bassa tiratura e circolazione delle bottiglie. Dom Perignon fa enormi quantità di champagne d'annata, ma è un investimento affidabile nel tempo».
Poi entrano in campo tendenze e anche mode. Secondo Anthony Zhang di Vinovest «il Merlot raggiunse l'apice nei primi anni '90 ma deve ancora recuperare la sua popolarità. Viceversa lo Champagne sta godendo di un credito crescente con un'impennata che ha nel 2021 contribuito a un ritorno del 21,58% sull'investimento».
Un altro parametro da considerare è il punteggio dei critici. Anche se per la verità conta sempre meno. «Le recensioni positive sono gradite», osserva Gibbs, «ma la forza del marchio vince sulla critica. Certo, un 100/100 formulato da un critico di fama internazionale ha le sue ripercussioni, però lo spazio della critica sta cambiando enormemente. Oggi nessuno è influente quanto lo fu a suo tempo Robert Parker».
Parker è l'americano che introdusse il sistema di classifica del vino basato su una scala da 50 a 100 punti. Era talmente influente che venne coniato il termine «parkerization» per indicare le ripercussioni dei suoi punteggi sui prezzi e vendite, anzitutto dei vini di Bordeaux.
In realtà ci si potrebbe aspettare che un conoscitore dei grandi vini, amante al punto da collezionarli, si affidasse più al proprio palato che alle classifiche altrui. «Il vero conoscitore ascolta e segue il proprio gusto - continua Gibbs - ma la grande massa ha bisogno di una guida e in tal senso la critica continua a giocare un ruolo importante».
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