Contemporanei contagiati dalla sindrome di Pantagruel

Rabelais e Stendhal sono gli ispiratori di una rassegna «diffusa» per la città

Alla base della rassegna «La sindrome di Pantagruel» ci sono due grandi scrittori, Rabelais e Stendhal: il gigantismo e la pantagruelica voracità dell’uno sfumano nella sindrome (quasi un attacco di panico) da esperienza estetica dell’altro, fino alla sintesi del titolo («La sindrome di Pantagruel», appunto), rintracciata dai curatori, Francesco Bonami e Carolyn Christov Bakargiev, nell’ultima generazione.
E così l’onnivora Torino si fa teatro dei nuovi scenari del mondo dell’arte, non solo nei tre musei promotori GAM, Castello di Rivoli e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ma anche in altri luoghi come la neonata Fondazione Merz, il Pala-Fuksas, nuovo mercato coperto, la Casa del Conte Verde (uno degli allestimenti più riusciti) e la Chiesa di Santa Croce.
La rassegna comprende due personali di Takashi Murakami e di Doris Salcedo (la prima rispecchia l’interesse per lo spirito ludico e l’amore per la pittura di Bonami, la seconda l’attenzione per l’impegno politico e la profondità culturale di Christov-Bakargiev). La carica dei settantacinque evidenzia uno scarto generazionale sempre più orientato in senso mediatico, anche da entertainment. «L’arte - scrive Ralph Rugoff - in un’era di specializzazioni sempre più ristrette, si estende promiscuamente e trasversalmente nei vari campi».
Ed ecco Allora e Calzadilla (una scultura apparentemente minimal che il pubblico può riconfigurare), Tamy Ben-Tor (performance su vari tipi), Fernando Bryce (disegni da ritagli archiviati), Alessandro Ceresoli (una stanza-scultura), Roberto Cuoghi (canzoni inventate), Ra Di Martino (un dittico video parodia del western), Christian Frosi (un frammento di Mole Antonelliana accostato a un paesaggio), Jeppe Hein (le panchine luminose, bellissime), Marine Hugonnier (un poetico lavoro fotografico sulla scoperta del Brasile), Jin Kurashige (un video che evidenzia l’isolamento di un bambino tra gli altri), Riccardo Previdi (un lavoro dedicato a Guerre stellari), Hans Schabus (il film dello studio dell’artista trasformato in tunnel), Katrin Sigurdardottir (veramente molto belli i suoi paesaggi portatili).


Un discorso a parte meritano i video di Carlos Amorales e Christian Jankovski, d’altra parte già molto noti: il primo mette in gioco paure e desideri, il secondo collega effetti speciali del cinema e profonde pulsioni nella più bella opera della mostra.

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