“The game, the game, partiamo adesso per raggiungere l’Italia” urlano in coro, sorridendo, quattro congolesi appena usciti dal campo di accoglienza bosniaco di Lipa, in mezzo alla neve, nel cantone di Bihac. “Il gioco” è il nome affibbiato dai migranti all’attraversamento illegale dei confini, prima in Croazia e poi in Slovenia per arrivare a Trieste, capolinea della rotta balcanica. “Ci ho provato quattro volte” spiega uno dei congolesi indicando il numero con le dita della mano. Ben attrezzati con indumenti pesanti, zaini e scarpe invernali, che vengono fornite nel campo di accoglienza finanziato dall’Unione europea, hanno tragitto e contatti sul telefonino fino all’Italia. Il gruppetto è atteso da uno dei taxi, che aspettano i migranti all’esterno del campo per portarli vicino al confine croato prima tappa del “gioco”. “Questa volta ce la facciamo” è convinto il congolese più sorridente. Una volta salito a bordo alza il pollice per ribadire che è tutto ok. “Questo campo è quasi un albergo finanziato con fondi Ue. Li rifocillano e forniscono vestiti e scarpe. Un punto di appoggio e di transito per i migranti. Di fatto un aiuto per percorrere la rotta balcanica e arrivare fino da noi” dichiara Anna Maria Cisint, parlamentare europea della Lega, che ha voluto toccare con mano la situazione nel cantone bosniaco di Bihac al confine con la Croazia. Alle sue spalle l’ingresso del campo con la bandiera della Bosnia-Erzegovina e il cartello con le stelline europee su sfondo blu e la scritta Iom, costola dell’Onu per le migrazioni. Fra i vari sponsor da US aid, alla Caritas c’è anche il simbolo del Ministro degli Esteri italiano.
Zeric Iris, responsabile del governo bosniaco, ci fa entrare, ma è vietato filmare all’interno. “Adesso sono poche centinaia (240), ma attendiamo un aumento con il freddo invernale - spiega - come nel novembre dello scorso anno quando il campo era pieno”. In tutto può ospitare 1539 migranti, tutti maschi, mentre le poche donne ed i minori sono al campo Borici di Bihac, il capoluogo del cantone ad una ventina di chilometri. A Lipa, al momento, ci sono soprattutto marocchini, siriani, ma anche afghani. In fila nella grande mensa mangiano tre volte al giorno e dormono nei container bianchi che rispettano gli standard dell’Onu. Sei posti a letto a castello, puliti e ordinati, con servizi igienici. Ai migranti vengono garantite cure mediche e distribuiti vestiti pesanti oltre a scarpe invernali quando tornano stremati dopo essere stati respinti dai croati, che non vanno per il sottile. L’aspetto paradossale è che possono entrare ed uscire, liberamente, quando vogliono, senza problemi. Nel campo in mezzo ai boschi si ritemprano per poi ritentare il gioco della rotta balcanica. “E’ come se la Ue chiudesse un occhio facilitando indirettamente il traffico di esseri umani” dichiara senza peli sulla lingua Cisint.
Un giovane egiziano, sdentato, mostra con orgoglio le pedule nuove fornite al campo e assieme a un connazionale spiega che “adesso andremo in Italia”. Dall’interno del campo, dietro la rete, altri migranti salutano alzando le braccia e gridando “Bosnia good”. Un paio di marocchini indicano, attraverso Google map sul cellulare, Venezia, dove vogliono arrivare nella speranza di trovare lavoro illusi da un Eldorado occidentale che non esiste più. Prima di arrivare al campo svetta su un rudere una grande scritta con la vernice rossa “Vive Morocco”. I dati dell’Iom indicano che dall’inizio dell’anno sono stati registrati in Bosnia 22.363 migranti e a Lipa risultano passati 11.920. I rintracci in Friuli Venezia Giulia sono appena 8800, la metà rispetto allo scorso anno. Negli ultimi sei anni l’Iom ha registrato 169.749 migranti, quasi tutti giunti illegalmente in Europa attraverso la rotta balcanica. Frontex, fino ad ottobre, ha segnalato 17mila migranti, un crollo del 79% rispetto al 2023. Però, una fonte bosniaca del Giornale, che monitorizza il traffico, spiega che “gli illegali fuori dai radar possono essere anche il 50% in più”. Dalla Macedonia in avanti fanno passare tutti “e nel sud della Serbia ci sono campi come quello di Lipa dove i migranti si riposano per poi continuare il cammino verso l’Europa”. Ali H., un ragazzino afghano di 19 anni, che incrociamo di sera nel viale centrale di Bihac, sostiene di essere scappato dall’Afghanistan quattro anni prima. “I talebani hanno ucciso mio padre e anche la mamma è morta - racconta - Ho un fratello che vive a Londra, dove ha tre ristoranti. E’ lui che tiene i contatti con i trafficanti. Per farmi arrivare in Italia pagherà 3mila euro. Devo aspettare una chiamata per passare il confine croato”. Ali ci aveva provato a Sturlic, 24 ore prima, ma la polizia di Zagabria ha intercettato la colonna di 11 afghani, pachistani e iraniani. il ragazzino è riuscito a darsela a gambe.
Nel desolato centro di Bihac si notano i “facilitatori”, lungo linee etniche. Un maghrebino, un pachistano che ha sposato una donna del posto e un africano sempre attaccati al telefonino per coordinare movimenti e passaggi dei migranti. Gli organizzatori guadagnano su ogni illegale che riesce a passare il confine.
Qualcuno ha tentato il “gioco” anche 11 volte. A Mohammed, giovane palestinese intirizzito dal freddo è appena andata male. “I croati mi hanno portato via tutto e rimandato indietro con la violenza - racconta quasi piangente - Adesso non ho neanche 5 euro per tornare al campo di Lipa”. Una bandiera della Palestina è stata calata sul monumento nella piazza principale di Bihac.
“La crisi migratoria, rispetto al passato, è sotto controllo con i due campi di Lipa e Borici. In Italia sono stato in diverse città e ci sono più migranti a Napoli rispetto a Bihac” dichiara con una battuta Nijaz Husic, il premier del cantone di Una Sana. Purtroppo si cominciano a registrare “metodi” libici di bande che filmano violenze su altri migranti, anche minorenni sottoposti a stupri, mandando i video via Whatsapp ai familiari per ricevere soldi. “Ultimamente abbiamo ricevuto delle chiamate dall’ambasciata austriaca e francese - spiega Husic - alle quali si sono rivolti i familiari dei migranti che vivono in questi paesi. Le vittime erano state sequestrate per ottenere un riscatto”.
La fonte del Giornale che monitorizza il traffico osserva “che talvolta, garantendo passaggi sicuri, pagano anche 10mila euro per la rotta balcanica”. I migranti vivono anche nei boschi occupando case abbandonate o utilizzate per le vacanze, ma alcuni hanno soldi e dormono nelle pensioni. “Il denaro arriva alla posta via Western union - rivela la fonte - Dei prestanomi locali vanno a ritirarlo tenendosi una provvigione”. L’Osa, l’Agenzia d'intelligence e sicurezza della Bosnia-Erzegovina, ha monitorato il traffico di esseri umani scoprendo gran parte della rete. “I migranti ricevono tutte le informazioni sul viaggio compreso il tragitto, i contatti e gli appuntamenti con i passeur, in posti sicuri con piccoli furgoni, via Whatsapp o Telegram. Sulle chat il capolinea è sempre Trieste” spiega la fonte. E aggiunge: “Poi proseguono verso altre città o paesi europei, ma sui telefonini ricevono anche le frasi da pronunciare con gli agenti italiani e la posizione degli uffici dove chiedere asilo o delle stazioni ferroviarie per proseguire il viaggio con tanto di biglietti elettronici”. Grazie ai cellulari e al tracciamento dei soldi è stata individuata una “rete di cittadini italiani e anche tedeschi in Germania, con origini straniere, che gestiscono il traffico lungo la rotta balcanica”. Cisint vuole sollevare il tema al Parlamento europeo: “Vanno chiariti la gestione dei campi, i dati raccolti da Frontex e assieme al gruppo dei Patrioti chiederemo ai bosniaci tutte le informazioni in loro possesso a cominciare dalla rete dei trafficanti in Italia e Germania”.
Nell’entroterra di Vuciak, a dieci minuti di macchina da Bihac, un rudere è stato utilizzato come bivacco dai migranti. Il piumino bianco spunta dal punto di sosta, non lontano dal confine croato, e fra le sterpaglie ci sono scatolette di tonno aperte da poco e scarpe.
Un italiano che vive da queste parti conferma l’andazzo: “Oltre quelle colline c’è la Croazia. Nel campo di Lipa si riposano per riprendere il “gioco”. Dopo la Croazia, che è già Unione europea, entrano illegalmente in Slovenia e alla fine arrivano a Trieste, la Mecca della rotta balcanica”.
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