Caro Paolo, credevo di aver trovato il mio buen retiro a Lesa, sul Lago Maggiore. Cè una stazione in cui ferma qualche treno locale. Buon per me - pensavo - che non ho lauto. Sedotto dallo slogan «prendi il mezzo pubblico» il 14 aprile 2010 sul treno delle 10,33 per Milano la controllora (donna) mi ha appioppato 50 euro di sanzione. Devi sapere che a Lesa non cè la biglietteria né, dunque, la macchinetta obliteratrice. Il biglietto si compra dal tabaccaio. Io, a penna, ci ho scritto sopra la data del 14. La controllora mi sanziona perché la scritta non lha fatta il capotreno. Morale, ogni volta che devo venire a Milano, devo cercare il capotreno, il quale scende e risale dopo dato il via libera. Così, se è allaltro capo del treno, dopo essermi sbracciato per attirare la sua attenzione, farò ritardare il treno in questione perché non cè la macchinetta obliteratrice. Che faccio, mi compro lauto o scrivo a Striscia la notizia?
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Cose dellaltro mondo, caro Rino. Sai cosa diceva Aristotele? Diceva: «e gàr akrìbeia mikroprepés», leccessiva meticolosità è del meschino. Pur dicendomi uomo dordine, pur rispettando leggi e regolamenti (se cè scritto: «Vietato calpestare le aiuole», io non le calpesto. Nemmeno di striscio) di fronte a episodi come quello che racconti, di fronte a comportamenti ineccepibili dal punto di vista formale, ma ottusi nella sostanza, mi vien voglia danarchia. Guarda, arrivo a dirti che mi vien voglia di fare il portoghese e non pagare il biglietto. Perché non è ragionevole che oltre a farmelo pagare, le ferrovie pretendano che in colpevole mancanza delle macchinette obliteratrici il passeggero si metta poi alla caccia di qualcuno che in un modo o nellaltro lo obliteri, sto benedetto biglietto, apponendovi un timbro, una scritta o facendo un foro, uno strappo o cosaltro gli possa venire in mente. Che poi dimmi tu cosa ci vuole a collocare anche in una stazioncina come quella di Lesa, magari proprio dal tabaccaio, così è più al riparo dagli atti vandalici, laccrocco obliteratore. O anche a installarli, fossanche in forma semplificata, come quelli che ci sono sui tram e i bus, direttamente nel vagone passeggeri.
Il fatto è, caro Rino, che si ha sempre più limpressione che qui, nel Belpaese, lutenza stia diventando solo carne da soldi. Il servizio base te lo danno, certo: la linea telefonica, la corrente elettrica, il trasporto Lesa-Milano. Quelli che progressivamente ti tolgono sono le premure, la sollecitudine e lassistenza un tempo riservata al cliente pagante. Intanto fra lutente e il fornitore di servizi i più hanno eretto un vallo rappresentato dai call center. O dai numeri verdi, quelli che non rispondono mai («Ci scusiamo per lattesa ma gli operatori sono momentaneamente occupati, si prega di non riagganciare per non perdere la priorità acquisita...». Io ho speso una vita nel tentativo di non perdere le priorità acquisite). O dai risponditori automatici («Digiti uno se... digiti due... digiti tre... digiti il suo codice fiscale... digiti il suo codice cliente...». Fino al colmo dei colmi: «Digiti linterno desiderato». E se lo conoscevo, linterno, perché avrei dovuto sottopormi alla tortura della digitalizzazione coatta?). Quando manca il vallo, ci si mettono gli addetti con la fissa del regolamento o limpiegato al di là dello sportello che manco alza lo sguardo dal computer (ai miei ripetuti «Scusi, mi potrebbe prestare attenzione?» uno di costoro mi fece, seccato: «Ma non vede che sto chiudendo una pratica?». Dopo un paio di minuti udii chiaramente il suono che in un popolare gioco di carte col quale anchio mi diletto, il «Solitaire Plus», viene emesso a fine partita).
Paolo Granzotto
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