"Le cooperative come le banche prendono soldi e danno interessi"

Nel libro "Falce e carrello" l’industriale milanese attacca il meccanismo di finanziamento del monopolio rosso. I suoi "bersagli" reagiscono: martedì parleremo noi

"Le cooperative come le banche
prendono soldi e danno interessi"

da Milano

I numeri li spiega lui in conferenza stampa: «Il sistema Coop, in base ai bilanci del 2006, ha pagato imposte per 73 milioni di euro contro i 152 versati dal gruppo Esselunga che però ha fatturato 4,9 miliardi di euro contro i 7 delle Coop». Qualcosa non torna e Bernardo Caprotti lo dice ad alta voce.Masoprattutto lo scrive offrendo un panorama concreto dei privilegi dell’impero Coop nel suo libro "Falce e carrello" (Marsilio editore, 192 pagine, 12,50 euro, in libreria da mercoledì prossimo, anche nelle Coop).

Nel testo c’è un po’ di tutto: l’ostruzionismo dei sindaci rossi, l’impossibilità di costruire un supermercato in tante città, il rapporto con i sindacati, difficile quanto quello con i giornalisti. Non solo. Per spiegare come in Italia la concorrenza sia ancora un’utopia, Caprotti illustra i meccanismi finanziari che spingono le Coop su una strada tutta in discesa. Siamo così al capitolo sul prestito sociale. Di che si tratta? «Di fatto - spiega il fondatore di Esselunga - le coop funzionano come fossero sportelli bancari (anche se la legge vieta l’esercizio attivo del credito): raccolgono i risparmi dei soci, li impiegano come meglio credono e distribuiscono interessi che i veri istituti di credito si sognano di fare, grazie al fatto che l’imposta sugli interessi non è pari al 27 per cento (come per i depositi bancari) bensì amenodella metà: soltanto il 12,5 per cento».

Niente male. «Un bel risparmio - prosegue Caprotti - un affarone per tutti. Per i risparmiatori, che possono lucrare un interesse elevato; e per le Coop, messe nelle condizioni di autofinanziarsi con una massa di liquidità a buon mercato e soprattutto sottratta ai controlli delle autorità creditizie». Con questo sistema, a sentire lui, le Coop raccolgono «una montagna di denaro, pari a 12 miliardi di euro; quanto una manovra finanziaria di media entità del governo. È questa - nota l’autore attratto dal confronto con l’attualità - la provvista-base con cui l’Unipol voleva dare la scalata alla Banca nazionale del lavoro».

"Falce e carrello" registra in apertura le piccate reazioni dei big del mondo cooperativo alle denunce sempre più documentate, a partire dal 2006, di Caprotti e di Esselunga. Per Aldo Soldi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative di consumatori, i toni di Caprotti sono «arroganti e polemici». «La vostra capacità di mentire e di ribaltare la realtà - replica lui - è illimitata». Davanti ai microfoni e alle telecamere, è più prosaico: «Soldi ha cominciato dall’anno scorso a romperci i c.». Si potrebbe pensare ad un padrone delle ferriere di stampo ottocentesco, invece lui si smarca dall’etichettatura facile facile: «Perché in Italia ci si divide su tutto fra destra e sinistra? Perché le piste ciclabili sono di sinistra e l’alta velocità di destra? Queste sono cretinate».

I privilegi raccontati nel libro invece sono l’espressione di un potere che tende al monopolio e contro cui mister Esselunga ha combattuto per una vita. Le Coop corrono ai ripari, sottolineano «l’atteggiamento denigratorio con cui il signor Caprotti tratta il suo più diretto concorrente» e annunciano una conferenza stampa per martedì. Lui, invece, nel libro e ai cronisti che lo assediano descrive le conseguenze di un sistema imprenditoriale così assistito: «Se uno va a Ferrara, città in cui c’è solo la Coop, i prezzi sugli scaffali sono più alti del 10 per cento. Ma i cittadini sono contenti lo stesso, perché non hanno visto nient’altro. Prima c’erano solo le bancarelle che praticavano prezzi più alti dele 20-30 per cento, così a loro va bene così». Forse sarà la Ue ad intervenire per eliminare queste storture. Lui, implacabile, va avanti e consegna al lettore un’ultima perla: «Chi controllava i conti delle maggiori cooperative di consumo e di distribuzione quando scoppiò il caso Unipol?».

La risposta arriva dopo poche righe: «Semplice: Uniaudit, una società di casa. Il principale azionista (35 per cento) è Unipol, poi figurano le Coop medesime e alcuni privati, fra i quali esponenti di primo piano del mondo cooperativo.

Per unperiodo, anche Giovanni Consorte. Il corto circuito è lampante: i clienti di Uniaudit sono gli stessi padroni di Uniaudit, ai quali Uniaudit dovrebbe fare le pulci al bilancio». Invece, a fare le pulci ci ha pensato lui.

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