Succede che tra poco avremo in Italia un nuovo reato: la corruzione tra privati. Per lo stalking tra le oche dobbiamo aspettare, ma per la corruzione no. Tra breve il ministro Severino ci darà i dettagli del nuovo reato. A sua giustificazione, le pressioni europee. Insomma non è roba che ci inventiamo noi: ma statene certi, saremo in grado di fare meglio degli altri. Sulla carta, si intende. Già immaginiamo la durezza dell’articolato disegno di legge, le sanzioni, le fattispecie. A Bruxelles non penseranno mica di insegnare ai romani il diritto? Perbacco.
Ma ritorniamo nel merito del nuovo reato di corruzione tra privati. Il procedimento logico è il solito. In Italia esiste una piaga, la corruzione: facciamo una legge e risolviamo così il problema. Certo, da qualche decina di secoli, per la corruzione si prevedeva la presenza di un pubblico ufficiale, che proprio in virtù del suo ufficio si permette di pretendere una retribuzione (o una promessa) non dovuta. Il classico funzionario che si fa dare una mazzetta. Ora però l’Europa, e noi felici con essa, vogliamo applicare il medesimo reato allo scambio tra privati. Beh, certo il direttore acquisti (il solito esempio che si fa in questi casi) che si fa regalare dal fornitore il Rolex ( il solito orologio che si cita in questi casi) non è esattamente un esempio di comportamento virtuoso. Ma il punto è proprio questo. Siamo così convinti che sia giusto ampliare lo spettro di intervento della giustizia penale? Non bastano il diritto civile e quello commerciale? Inoltre per i casi più gravi (il furbacchione è un amministratore o opera con raggiri) esistono già i reati dibancarotta o eventualmente di truffa. No, non ci basta. Per il nobile fine di combattere la corruzione (che per definizione è pubblica) si cerca di ampliare il penalmente rilevante ai rapporti tra privati. Con quel sapore orribilmente moralistico di volere perseguire un obiettivo etico con la sanzione penale.
Nessuno, ministro Severino, mette in discussione il malcostume italiano, e non solo, di privati che si fanno i propri affari. Ma siamo sicuri che lo strumento penale non sia un boomerang? Lei che ben conosce la 231, di cui è massima esperta in Italia, non ritiene che sia pericoloso, molto pericoloso, portare i Pm in azienda? E quale bene giuridico staremmo tutelando con questa nuova norma? Forse la concorrenza. Se così fosse, proprio per la sua impersonalità, verrebbe da pensare a un’obbligatorietà dell’azione penale e dunque l’attivazione delle indagini senza alcuna querela di parte. Proprio ciò che mancava ai nostri tribunali: un diluvio di nuove notizie di crimine su cui aprire un altro bel pacco di procedimenti. L’elemento funzionale potremmo anche lasciarlo da parte. Non possiamo certo pensare di non perseguire un reato semplicemente perché non ne abbiamo i mezzi. Ma mettersi nella condizione di impotenza è da folli.
Resta un altro dubbio. Perché invece di cadere,cosa che non è propria dell’attualeministro della Giustizia, nell’applauso del politicamente corretto e nell’onda favolosa del luogo comune, non si è piuttosto affrontato il vero dramma dei privati in Italia? E cioè la cronica incapacità della giustizia civile di dare soddisfazione alle più legittime pretese. Mentre ingolferemo i tribunali con ipotesi di corruzione tra privati, nelle aule civili non riusciamo ad andare a sentenza per un credito di mille euro. Con il ben altro non si fa alcuna riforma. Questo è chiaro. Ma per favore risparmiateci la corruzione tra privati. Basta il licenziamento: questo sì per giusta causa. Sempre che un magistrato non reintegri.
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