Paolo Armaroli
Prodi pretendeva che gli fosse conferito lincarico di formare il governo in questi giorni. Ma lerba voglio non cresce neppure nei giardini del re. Figuriamoci se poteva crescere nellorticello di un presidente del Consiglio in pectore che, dopo lelezione di Marini alla guida del Senato, ha visto ancor più assottigliarsi lesiguo margine del quale disporrà a Palazzo Madama. Tuttavia il Professore non intendeva sentire ragioni. Riteneva che esistesse una «finestra» che gli consentisse di ottenere la fiducia parlamentare entro il 13 maggio, quando avrebbero dovuto iniziare le votazioni per lelezione del capo dello Stato.
Daltra parte, si sa come la pensava Ciampi. Dapprima era orientamento a non conferire in ogni caso lincarico di formare il nuovo governo in quanto tale prerogativa sarebbe dovuta spettare al suo successore. Poi ha chiarito che solo in caso di schiacciante vittoria di una delle due coalizioni si sarebbe fatto parte diligente. Infine, data la petulanza di Prodi, non aveva più opposto un no assoluto. Ma voleva vederci chiaro. Perciò il capo dello Stato attendeva che i presidenti delle Camere gli dessero assicurazioni che il nuovo governo poteva ottenere la fiducia parlamentare prima dellinizio delle votazioni per il Quirinale.
Fatto sta che Bertinotti e Marini altro non sono che le «voci» delle rispettive assemblee. E si sono resi conto che la fiducia parlamentare, che non è soggetta a contingentamento dei tempi, non poteva essere concessa con la stessa disinvoltura con la quale vengono dati un sigaro o una croce di cavaliere. Che notoriamente non si negano a nessuno. Insomma, hanno compreso che sarebbero occorsi parecchi giorni per un meditato giudizio sulla composizione del governo e sul suo indirizzo politico. Il rischio era quello di andare oltre il 13 maggio. Con il risultato cervellotico che al mattino sarebbe proseguito il dibattito fiduciario e al pomeriggio sarebbero continuate le votazioni del Parlamento in seduta comune per lelezione del successore di Ciampi. Ridicolo. Così Bertinotti, dintesa con Marini, ha convocato il Parlamento in seduta comune per l8 maggio facendo rimanere con un palmo di naso il povero Prodi. Che vede pertanto allungarsi i tempi per lagognato incarico.
Nel nostro Bel Paese è andata sempre per la maggiore la terza via. E con lanticipo dellelezione del capo dello Stato dal 13 all8 maggio, si è per lappunto imboccata una terza via: né lincarico subito, né elezioni per il Colle il 13 maggio. Così i consigli regionali hanno già eletto i delegati. E il Parlamento in seduta comune procederà con lacqua alla gola alla verifica dei loro poteri e pronunciarsi su eventuali reclami. Ma questo anticipo dei tempi di elezione del capo dello Stato è quanto mai sospetto. È chiaro che i Ds vogliono imporre un proprio uomo al vertice dello Stato. Tanto per non fare nomi e cognomi, Massimo DAlema. Soprattutto dopo che, come Celestino V, Ciampi ha opposto il gran rifiuto. Ma è altrettanto evidente che dovranno fare i conti con i franchi tiratori. Che presumibilmente spunteranno come funghi. Perché alla suprema magistratura dello Stato non può essere innalzata una personalità che ha una forte caratura politica. Perciò prevedono tempi lunghi.
Con lanticipo delle votazioni si confida poi che prima del 18 maggio, quando il mandato di Ciampi scadrà improrogabilmente, esca dal comignolo di Montecitorio una fumata bianca.
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