Così il barile di petrolio diventa spazio per l’arte

Più che un mezzo e un'unità di misura è sempre stato un'icona di progresso, lunghe distanze e industria. Ma forse non immaginava, il barile di petrolio, di diventare un giorno luogo: spazio privilegiato di sperimentazione di una giovane artista. Lei, Mary Pola (1975), che oggi vive e lavora a Foligno dopo il diploma all'Accademia di Belle Arti di Firenze, un tempo dipingeva su vetro. Ha vissuto varie esperienze, tra cui anche quella del restauro, per poi scorgere in certi barili abbandonati tra officine e campagne il proprio «oggetto a reazione poetica». Oggi, insieme a quei barili, è a Genova e conquista vari spazi dell'antico Palazzo Nicolosio Lomellino (Via Garibaldi 7, Genova). Se l'atrio e il ninfeo del palazzo accolgono un'installazione ove i barili di petrolio sono eretti a sorta di monito attraverso il colore e a un elemento sonoro, al piano nobile, con la «benedizione» degli affreschi di Bernardo Strozzi, si articola la sua prima antologica, «Mary Pola for Erg», a cura di Anna Orlando (in corso fino al 6 giugno, ingresso gratuito: martedì-venerdì ore 15-19; sabato, domenica e 2 giugno ore 10-19). Promossa da Erg, conquistata dall'inedito uso dei barili da parte dell'artista, da una Fondazione Edoardo Garrone sempre più attiva e sensibile alla ricerca contemporanea - due esempi su tutti: il sostegno di Tomas Saraceno, stella all'ultima Biennale di Venezia, e la Residenza per Giovani Curatori condotta in tandem con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo - e con il patrocinio del Fai, ecco quindi le opere di Mary Pola. Il percorso si apre con una giusta premessa, insieme ai lavori condotti su juta, tela strappata e carta bruciata, per poi giungere al climax nelle sale dedicate alle opere realizzate usando come materia prima il barile di petrolio. Questo conserva la sua identità, il suo essere insieme traccia e simbolo del nostro mondo più prossimo, ma una volta guidato dall'artista sulla superficie piana scopre e si carica di nuove suggestioni. Il colore, anzi tutto, che corre liberamente assecondando la pelle del supporto metallico. Memore della ritualità Gutai quanto dell'Action Painting e di un certo Burri, è capace di accogliere ora scritte adesso interi brani di lettere passate attraverso prove di fuoco. E, ancora, chiavi, fili e reti di ferro: elementi di recupero che riattualizzano la poetica dell'objet trouvé conducendola anche sul versante dell'immagine nell'emergere del riporto fotografico. Nascono così le «sculturopere» dell'artista, come ama definirle, dove l'aggetto di ciascun elemento, operatore semantico, è funzionale alla nuova definizione di uno spazio che non scorda il passato più remoto, ordinandosi anche in un trittico. Molti i lavori già di collezione, come l'opera ispirata a Erg, e gli indizi dei trascorsi e delle prospettive della ricerca dell'artista.
Al piano terra del palazzo, alla Galleria Lomellino Artecontemporanea, è infatti in corso anche un'altra esposizione dei suoi lavori (fino al 26 giugno), che comprende prove recenti architettate su cartone.

Nell'asperità del materiale, simile per certi versi alla lamiera, l'artista ha trovato un nuovo terreno su cui operare per integrare la sua poetica del recupero, a ben vedere di ordine primario ed emozionale, sempre su altri, nuovi orizzonti.

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