Così il football Usa celebra ogni anno "mister Irrelevant"

A fine torneo Nfl le squadre scelgono i giocatori dei campionati universitari da portare fra i professionisti. Essere "l'ultima scelta" diventa un evento

Così il football Usa celebra ogni anno "mister Irrelevant"

Massimo M. Veronese

L a Rolls Royce era pronta, il percorso della parata tracciato, la conferenza stampa programmata. Ma all'improvviso nell'ufficio di Paul Salata, a Newport Beach, California, squillò il telefono. Era il giugno del 1976 e Kelvin Kirk, colosso del football americano dell'Università di Dayton appena ingaggiato dai Pittsburgh Steelers, chiamava per dire che aveva perso l'aereo come il Macaulay Culkin del film, e che sarebbe arrivato con diverse ore di ritardo. Cioè troppo tardi per tutto. Proprio nella giornata del debutto. Una catastrofe.

Cosa fare allora? Paul Salata, oggi novantatreenne, un passato non esaltante tra i pro della «palla lunga un piede» e un presente da boss nell'azienda edile di famiglia, aveva organizzato una curiosa e un po' folle cerimonia per celebrare l'ultimo degli ultimi, la maglia nera dei debuttanti, il re dei nerds. Il numero 483, l'ultimo giocatore scelto, dei draft del football americano, il vagone di coda del treno più ricco dello sport degli States. In America il football è democratico: alle squadre arrivate ultime spetta scegliere i migliori dei campionati universitari e ai primi gli ultimi. Poi si tratta. Nella Nfl, la lega Pro, ci sono 32 squadre, sette round di scelta più uno «di riparazione», si mercanteggia come nel calciomercato tra trasmissioni tv che non finiscono mai e scommesse continue.

Nel campionato dove, come diceva Vince Lombardi, leggendario coach dei Green Bay Packers, «vincere non è importante, è l'unica cosa che conta», l'ultimo scelto non è mai stato nessuno. Fino a quel giorno di giugno del 1976, quando Salata si è messo in testa l'idea meravigliosa di celebrare l'ultimo come se fosse il primo, e di inventare una corona e un titolo tutto per lui: «Mister Irrelevant» e non c'è bisogno neanche di tradurre. «Fu una gentilezza, meritavano anche loro un piccolo cono di luce - la spiegazione di nonno Paul - Primi o ultimi siamo tutti sulla stessa barca».

Peccato solo che il primo «Signor Nessuno» della Storia, proprio il giorno del battesimo, avesse perso l'aereo: il trono degli sconfitti stava per sbriciolarsi appena nato. Ma sapete come sono gli americani. Salata si precipitò in un supermercato del posto, scovò un macellaio di nome Donnie Hughes e lo convinse a recitare la parte di Kirk, anche se aveva la pancia gonfia e più di dieci anni in più, tanto nessuno aveva mai visto in faccia l'originale. Hughes sfilò così in Rolls Royce tra la folla e rispose alle domande dei giornalisti come se fosse l'altro. Quando il vero Kirk arrivò in conferenza stampa i due dei scambiarono i ruoli tra le risate di tutti. E per 44 anni, l'ultimo degli ultimi è Tae Crowder pescato domenica scorsa dai New York Giants, le risate sono continuate. L'avventura di «Mister Irrelevant» non poteva cominciare meglio. Oggi è uno show nello show, un evento capace di raccogliere milioni di dollari in sponsor e per beneficenza.

Al Paperino del football americano per una settimana tutto è concesso. L'«Irrelevant week» prevede eventi mediatici, raccolte di fondi, desideri da realizzare e un banchetto durante il quale viene assegnato il Lowsman Trophy, l'Oscar degli sfigati, la statuetta di un ricevitore che inciampa sulla palla, praticamente un Tapiro d'oro. Oggi però la «settimana irrilevante» è molto meno spericolata degli inizi. Jim Kelleher, il secondo «Irrelevant», anno 1977, racconta che la sua settimana da eroe prevedeva così tanto alcol che finì per sprecare due dei suoi sette giorni a dormire su una sedia a sdraio a bordo piscina.

Ognuno chiede secondo indole. Everett Ross, «Mister Irrelevant» 1989, volle incontrare OJ Simpson, che allora era il Cristiano Ronaldo del football, non l'assassino condannato a trentatré anni di carcere, e passare la giornata con la sua cantante preferita, Gladys Knight. Demetrius Davis, il Nerd 1990, morto nel 2012 per un infarto, era un grande fan di John Wayne: lo portarono a pranzo con la figlia, Aissa Wayne. Al dolce pianse. Mike Almond, Lowsman 1979, si accontentò di uno scranno da giudice in un concorso di magliette bagnate. Tevita Ofahengaue, nel 2001, pretese di dividere la vacanza con una ventina di parenti arrivati da Tonga. Gli dissero di, ma da allora fu consentito all'Irrelevant di portarsi dietro solo una persona. Sam Manuel, tagliato in preseason, dopo aver firmato con i 49ers insieme al gemello Sean, ordinò al fratello di lasciare la squadra per solidarietà di famiglia. Non rimpiansero né l'uno, né l'altro.

Perché non è brillante come da previsione la carriera di un «Irrelevant»: la maggior parte ha giocato scampoli di partite, Kevin Kirk, il primo, nemmeno quelli. Chandler Harnish oggi fa marketing per un'azienda di coperture industriali alla periferia di Chicago, Daron Alcorn è finito a lavorare per un'azienda di legnami, David Vobora insegna sport ai disabili e si dedica al recupero dei veterani di guerra, Tyrone McGriff è scomparso nel 2000 a 42 anni, John Tuggle nel 1986 a 25. Marty Moore invece è arrivato con i Patriots al Superbowl, il Sacro Graal del business americano al quale ogni anno da mezzo secolo si abbevera un'intera nazione.

La rivincita dei nerds: «Fu un sollievo - dice - la mia famiglia smise di prendermi in giro». Tuggle morì 5 mesi prima che i Giants conquistassero la finale: giocarono con un adesivo sul casco con il suo numero, il 38. Vinsero con i Denver Broncos 39-20. Last but not least.

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