Così la Francia in Algeria scoprì la ferocia della guerra coloniale

Mathieu Belezi in "Attaccare la terra e il sole" fa uno spietato resoconto della prima campagna in Nord Africa e dell'emigrazione

Così la Francia in Algeria scoprì la ferocia della guerra coloniale

Della prima colonizzazione francese dell'Algeria, nel 1830, di cui Mathieu Belezi traccia un potente quanto spietato resoconto nel suo romanzo Attaccare la terra e il sole (Gramma-Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi, 135 pagine, 16 euro), facevano parte i bisnonni di Albert Camus, il quale per tutta la vita si considerò un pied noir, ovvero un francese d'Algeria, un indigeno, nei più né meno dei musulmani

La Francia che allora sbarcò sulla sponda opposta del Mediterraneo, era quella del re borghese Filippo d'Orléans che archiviava definitivamente il potere della dinastia Borbone, restaurato una prima volta, dopo la caduta di Napoleone, con Luigi XVIII, e poi dissipato dal tentativo del suo successore e fratello, Carlo X, di ripristinare l'assolutismo dell'Ancien Régime. La rivoluzione di luglio del 1830 ne provocò l'abdicazione e la fuga in Inghilterra e, in quello stesso mese, le truppe del nuovo sovrano occuparono Algeri, allora sotto il dominio turco.

Rispetto al colonialismo transalpino di fine secolo, che, come ha scritto Edward Said, nascerà «dal duplice impulso di controbilanciare la vittoria prussiana del 1870-1» e di «emulare i successi dell'imperialismo britannico», quello d'Algeria intrecciava motivazioni d'altro genere. Da un lato era il posto al sole in cui la Francia mandava a emigrare quell'eccedenza di popolazione che vent'anni di guerre napoleoniche e l'esplodere dei conflitti sociali, le rivolte operaie di Lione e di Parigi, avevano sempre più impoverito: la proprietà di un po' di ettari di terra da coltivare era quanto veniva offerto ai nuovi coloni, in una Francia che restava tale anche se si ritrovava oltremare. Dall'altro, il ricordo della Campagna d'Egitto, di Napoleone, nuovo Alessandro, alle Piramidi, coloriva il tutto con l'idea di un Oriente accogliente e non ostile, ricco di colori più che di dolori, e di una Francia culla di civiltà che su di esso si chinava

La conquista fu faticosa, tant'è che in un primo tempo, con il trattato di Tafna del 1837, non andò oltre l'occupazione della costa, lasciando il resto del Paese all'emiro Abd-el-Kader. Nel successivo decennio, la sconfitta di quest'ultimo portò però alla conquista definitiva e a una seconda e più massiccia ondata di colonizzazione.

Se l'occupazione era stata il risultato di un imponente quanto brutale sforzo militare, a cui non fu estranea la Legione straniera, fondata proprio in quegli anni, questi nuovi coloni diedero un tono diverso all'Algeria. Innanzitutto, non erano solo francesi, ma provenivano un po' da tutta Europa. La Francia li proteggeva, ma l'Algeria appariva loro come un crogiuolo, qualcosa di simile a quella che era stata la colonizzazione oltreoceano del Nuovo continente, un pionieristico Far West, se si vuolePoeticamente, ma con una poesia che ha un fondo di verità, in L'estate, proprio Albert Camus riassumerà così il tutto: «I francesi di Algeri sono una razza bastarda, fatta di miscugli imprevisti. Spagnoli e alsaziani, italiani, maltesi, ebrei, greci, si sono alla fine incontrati su questa terra. Tanti incroci hanno dato, come in America, risultati felici». Non a caso, il romanzo su cui stava lavorando quando il 6 gennaio 1960 morì in un incidente d'auto si intitolava Le Premier homme e sarebbe dovuto essere il romanzo epico sull'Algeria che, a quell'epoca, era ancora una colonia franceseQuello che non poteva prevedere è che quel primo sarebbe stato in realtà l'ultimo I musulmani algerini che intorno al 1950 avevano acquisito il senso della loro identità nazionale, e del nazionalismo avevano fatto la loro bandiera, avrebbero preso il possesso del territorio algerino due anni più tardi

Questo lungo preambolo intorno al romanzo di Belezi aiuta a capire perché Attaccare la terra e il sole abbia provocato in patria tante polemiche e discussioni. Nonostante siano passati quasi settant'anni dall'indipendenza algerina, l'Algeria resta per la Francia una ferita aperta e insieme una pagina nera. Naturalmente, il compito di un romanziere è scrivere romanzi, non fare approfondimenti storico-politici e Belezi lo fa da par suo, è uno cioè che conosce il mestiere. Costruito su un duplice registro, che ha il timbro dell'oralità, Attaccare la terra e il sole dà la sua voce a una donna, Seraphine, che racconta la propria esperienza di colona, e a un anonimo soldato chiamato quell'esperienza a proteggere. Ciò che dalle due voci emerge è un concentrato di orrori.

Arrivati dopo un viaggio via mare, Seraphine, il marito, i loro tre bambini, la sorella anch'essa sposata e con un figlio, non trovano una tranquilla campagna da coltivare: tutto intorno a loro è in realtà ostile, dal paesaggio al clima, alle persone. Senza scorta è impossibile muoversi, pena il finire fatti a pezzi. Nessun contatto con la popolazione locale è possibile e se non è il pugnale arabo a fare strage, ci pensa il coleraNei coloni che resistono e restano, è il sangue e la fatica a fondare il loro diritto a stare lì: non si faranno cacciare. Al «marcia o muori» dei legionari fa da controcanto il «semina o muori» dei contadini

Sul versante militare, il panorama si fa ancora più tragico. È la forza che decide, ma questa forza contempla l'annichilimento del nemico, l'annientarlo nella sua condizione umana, togliergli la dignità per impedirgli ogni reazione. «Non siamo angeli» continua a dire il capitano ai suoi uomini, il che vuole anche dire l'impunità per chi da diavolo si comporta: sulla terra, nessun tribunale civile li condannerà È insomma la bestialità a imporsi, tanto più se dall'altra parte c'è la ferocia con cui si difende il diritto di essere signori e padroni in casa propria

Belezi è stilisticamente efficace nel rendere questo viaggio dentro il male, lì dove il sangue versato assume un sapore inebriante e la sopraffazione del nemico i contorni disumani di chi non conosce limiti: può rubare, stuprare, straziare e nessuno proverà a fermarlo

Se il libro ha un difetto, è la sensazione del deja vu, un catalogo degli orrori già mille volte ripercorso, con in sottofondo quella visione del colonialismo la cui condanna non esaurisce il tema, ma si limita a esorcizzare il problema. Non c'è, naturalmente, un colonialismo buono, ma la sua comparazione a pura e semplice macelleria suona limitata e insieme falsa. Sotto questo aspetto, sono più interessanti gli interrogativi che si poneva il Joseph Conrad di Cuore di tenebra. «La conquista della terra, che di fatto vuol dire toglierla a chi ha il colore della pelle diverso dal nostro o il naso leggermente più schiacciato, non è una bella cosa a guardarla troppo da vicino. A riscattarla c'è solo l'idea. Un'idea che la sostiene, non un pretesto sentimentale, ma un'idea; e una fiducia disinteressata in quell'idea: qualche cosa da esaltare, davanti alla quale inchinarsi, alla quale offrire dei sacrifici».

C'è di più. L'assunto di fondo di Attaccare la terra e il sole è l'insensatezza e la follia della guerra, il suo spietato penetrare nei corpi e nelle menti, l'alterazione nefasta che ne consegue.

E però, se leggiamo Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Remarque, Addio alle armi, di Hemingway e persino Viaggio al termine della notte, di Céline, è perché intravediamo una luce dietro quel buio sanguinoso, la possibilità di una via d'uscita e insieme il fascino terribile di un'esperienza che ci sovrasta e a cui ci si ostina a resistere. Ci raccontano altro, il sacrificio e il coraggio che vince la paura, una sorta di fraternità, l'aggrapparsi a un credo, religioso o laico che sia. «Non siamo angeli», ma ciò non ci impedisce di tentare di volare

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