Ormai parlare di intelligenza delle piante, o del fatto che esse comunichino fra loro, o dell'esistenza di una connessione sotterranea nelle foreste, non sembra una novità. Quando però Suzanne Simard spedì un articolo a Nature in cui raccontava i risultati degli esperimenti condotti sui rapporti e gli scambi (di carbonio fotosintetico) fra betulle e abeti di Douglas era il 1997, e non ne parlava nessuno. E alla rivista non presero le sue ricerche alla leggera, come un revival new age o una moda hollywoodiana: infatti le sue scoperte, scientificamente dimostrate, si guadagnarono la copertina, battendo quella del genoma del moscerino della frutta. Lo chiamarono wood-wide-web: la rete immensa del bosco, che si dirama sotto il terreno, fra le radici, dove pare non accada nulla e, invece, succede di tutto. E questo tutto consente alle piante di cooperare e di sostenersi a vicenda, proprio come le betulle e gli abeti di Douglas che, sotto gli occhi della scienziata, anziché competere fra loro e sottrarsi risorse, se le scambiavano: «Stavano lavorando insieme, come un sistema. Un sistema intelligente, perspicace, reattivo». Così scrive Suzanne Simard in L'Albero Madre (Mondadori, pagg. 448, euro 24), il meraviglioso memoir in cui ripercorre il suo percorso, scientifico e personale insieme, «alla scoperta del respiro e dell'intelligenza della foresta».
Oggi Suzanne Simard è un punto di riferimento per chi studia le piante. Ha decine di pubblicazioni alle spalle, ha condotto documentari e conferenze su come gli alberi parlino fra loro e insegna Ecologia forestale all'Università della British Columbia. Qui dal 2015 è attivo il suo progetto «Albero Madre», che coinvolge nove foreste sperimentali e vuole rendere concreta «la scienza della complessità»: creare una nuova generazione di selvicoltori e «trasformare le pratiche forestali in qualcosa di adattativo e olistico, lontano da ciò che è stato finora eccessivamente autoritario e semplicistico». Ma tutto questo è arrivato col tempo, si è sviluppato e ramificato come un grande albero: «Non so se il mio sangue è negli alberi o se ho gli alberi nel sangue» scrive. Fatto sta che Simard è nata in una famiglia di taglialegna del Canada, è cresciuta tra le foreste pluviali della British Columbia e ha imparato a conoscere gli alberi, ad amarli, e a... tagliarli. «Per generazioni la mia famiglia si è guadagnata da vivere abbattendo foreste. Da questo modesto mestiere è dipesa la nostra sopravvivenza. È il mio retaggio». Logico che anche lei abbia cominciato così: buttando giù e piantando. Però... «Ho osservato la foresta e mi sono messa in ascolto». È stato proprio lavorando sul terreno che ha scoperto che le plantule di pino, quelle piantine nuove, distribuite in file precise e ordinate, senza ostacoli di radici e funghi fastidiosi intorno, anziché prosperare, inspiegabilmente deperivano. Che cosa mancava? La risposta era sottoterra, in quei filamenti fungini ramificati, chiamati ife, i quali, ben lungi dal danneggiare gli alberi, come si credeva, sono il modo in cui le loro radici si connettono, comunicano, si scambiano energia e elementi, si tramandano le lezioni (di adattamento) apprese e si lanciano allarmi... «Le radici non prosperavano quando crescevano da sole. Gli alberi avevano bisogno gli uni degli altri». È «una giungla di fili, sinapsi e nodi» a trasportare i messaggi, una rete che ricorda molto da vicino il cervello umano e il suo intreccio di neuroni, sinapsi e neurotrasmettitori. In questa foresta senziente e intelligente c'è un hub, un centro di connessione: l'Albero Madre. Chi ha visto Avatar ricorderà l'Albero delle anime. Chi ha letto Il sussurro del mondo (La nave di Teseo), con cui Richard Powers ha vinto il Pulitzer nel 2019, ricorderà le scoperte della ribelle Patricia Westerford, male accettate dal mondo scientifico istituzionale. Chi leggerà L'Albero Madre capirà perché tanta parte del nostro immaginario attuale sul mondo vegetale sia stata influenzata da Suzanne Simard. «Gli alberi anziani erano le madri della foresta. Gli hub erano Alberi Madre. Be', alberi madre e padre, dal momento che tutti gli abeti di Douglas hanno pigne maschili con il polline e pigne femminili con i semi. Ma... io li pensavo in termini materni. Con gli anziani che badavano ai giovani. Già, era proprio così. Alberi Madre. Gli Alberi Madre connettono la foresta». Trasmettono il loro sapere ai più giovani, li aiutano a crescere, lasciano in eredità le loro risorse quando muoiono. La loro sapienza secolare tiene in vita il mondo: non soltanto quello della foresta, il nostro. «L'evidenza scientifica non si può ignorare: la foresta è cablata in modo da garantire saggezza, sensibilità e cura».
Questi insegnamenti si ritrovano in molte ricerche e libri attuali. Per esempio, nell'esperienza di Karine Marsilly, «arborista tree-climber», che cura alberi grandiosi arrampicandocisi pericolosamente e che nel suo La mia vita con gli alberi (Einaudi, pagg. 172, euro 18,50) mette in pratica molte delle scoperte di Simard sulle connessioni vegetali. E racconta anche quanto possa essere avventurosa un'esistenza fra rami e chiome. Oppure negli studi di Paco Calvo, professore di Filosofia della scienza all'Università della Murcia: nel suo Minimal Intelligence Lab, Calvo cerca di dimostrare come la Planta Sapiens (ilSaggiatore, pagg. 350, euro 23) sia una realtà. Anche se Simard ci ricorda che i Salish, le antiche popolazioni della costa nord-occidentale del Pacifico, sapevano già tutto, senza ricorrere a isotopi, innesti, analisi e robot: sapevano della natura simbiotica delle foreste, delle reti fungine, della forza che nasce non dalla competizione, bensì dal sostegno reciproco fra le piante.
«I Salish della costa pensano che anche gli alberi siano persone. Ci insegnano che la foresta è fatta di tante nazioni diverse che vivono fianco a fianco, in pace, ognuna delle quali dà il suo contributo a questa terra». Gli alberi insegnano la loro saggezza, a chi li sa ascoltare.
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