Cannes. Il quadrante del destino, che poi è una macchina del tempo, sembra fatto su misura per Indiana Jones. Passin passino Harrison Ford ha raggiunto le ottanta primavere (a luglio sono 81) e all'inizio di Indiana Jones And The Dial Of Destiny ha la metà dei suoi anni. Per intenderci, quelli che aveva al tempo de I predatori dell'arca perduta targata 1981. Il professore viene dal passato come le sue avventure e, dopo adeguato preambolo che un po' di nostalgia la mette, eccolo all'epoca corrente, quella della guerra fredda, ma fa niente. Il docente è ormai prossimo alla pensione e il dono dei colleghi finisce in regalo nelle mani del primo sconosciuto che incontra. Insomma, l'avventuroso ricercatore accusa il peso dell'età e si trasforma nel vecchietto del piano di sopra, solerte soltanto a fare abbassare il volume troppo alto ai vicini.
A svegliarlo da un torpore geriatrico impensabile e inaccettabile è la nipote che lo coinvolge in una missione studiata per recuperare il quadrante di Archimede, necessario per viaggiare nel tempo. Una parte è in mano ai trafficanti di antichità, l'altra è nascosta nelle viscere di Siracusa. A contendergliela è un vecchio arnese del nazismo (Mads Mikkelsen) che si è riciclato ma alimenta il fondato desiderio di tornare al 1939 per invertire il corso degli eventi e portare la Germania alla perduta vittoria. Un disegno che Indy non può accettare e solo Archimede in persona può scongiurare. Tuttavia per arrivare al cospetto del grande matematico occorre un'invenzione degna di lui e a scoprirla saranno gli spettatori che dal 28 giugno troveranno la nuova puntata della celebre saga nei cinema italiani, distribuita dalla Disney.
Grande spettacolo dunque per oltre due ore e mezza, fuori concorso a Cannes e già in vetta alle preferenze del pubblico, che ha fatto scattare il conto alla rovescia. Budget stratosferico che tocca qualche centinaio di milioni di dollari, ma al fascino dell'archeologo, ideato dalla coppia Spielberg-Lucas, da sempre produttori della saga, non si resiste. Nemmeno se le incongruità arrivano puntuali come un orologio svizzero. Pensare che un uomo intrappolato negli abissi possa urlare è incomprensibile, come l'inseguimento a cavallo nella metropolitana di New York dove mr Jones in sella deve evitare il frontale con il treno in arrivo.
Le sorprese si susseguono a ritmo incalzante, guai però a lamentarsi. In fin dei conti è quello che oggi provoca stupore e seduce le platee, come all'esordio della settima arte fu il convoglio alla stazione di La Ciotat che fece scappare gli spettatori dei Lumiére, a dir poco impauriti. E proprio sull'ottuagenario in sella al destriero il dibattito tocca l'età.
«Gli anni contano - spiega Harrison-Indiana - ma a me piace lavorare. Adoro questi film e oggi il cinema può contare su mezzi tecnici straordinari che aiutano chi ha perso un po' di agilità con il trascorrere dei decenni».
Tuttavia la sceneggiatura ha un po' il sapore del vorrei ma non posso. Il professore non ha più lo smalto degli anni Ottanta, ma nessuno se ne accorge e il cast che lo affianca brilla di luce riflessa. E il piccolo Ethann Isidore, che affianca Indiana e la nipote alla ricerca del quadrante, confessa candido: «Era un mito quando lo guardavo in dvd sul divano di casa, oggi in quel film ci sono anch'io. Eccitante».
I riflettori sono tutti per Ford che ha ricevuto anche una Palma d'onore. «È incredibile l'affetto di tutti. Sono commosso. Non ho potuto emozionarmi alla telefonata di Jim (il regista James Mangold, ndr) perché non c'è mai stata. E la ragione stava forse nel fatto che la mia risposta era scontata.
Sono stato fortunato a lavorare con una squadra che è anche una famiglia. Se la trama fosse stata più fragile e il cast diverso dall'attuale non sarebbe stato un film, ma un incubo». Il mito insomma continua. E per Indiana Jones la pensione sembra ancora lontana.
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