Così la paura della guerra civile ha influenzato la cultura Usa

Quest'anno il film "Civil war" è stato un successo ma il rischio lo avevano raccontato Joe Dante e il libro distopico di Macdonald

Così la paura della guerra civile ha influenzato la cultura Usa

L'incubo della guerra civile, quello inciso a sangue dentro la Storia degli Stati Uniti. Che per diventarlo davvero Uniti pagarono tra il 12 aprile del 1861 e il 23 giugno del 1865 l'esorbitante prezzo di 625mila morti totali e di 412mila feriti gravi (un veterano su 13 subì delle amputazioni). Senza contare la distruzione di intere città e una tensione latente tra nord e sud mai del tutto sopita.

È quest'incubo che gli Usa esorcizzano anche attraverso la letteratura. E nell'esorcizzarlo però anche lo evocano, come uno spauracchio da favola dei bambini. È lungo l'elenco delle opere di fantasia che mettono più o meno velatamente in scena una seconda guerra civile americana. Andando à rebours è proprio di quest'anno il film Civil war (scritto e diretto da Alex Garland che non è americano, è inglese, ed è lo sceneggiatore di 28 giorni dopo, Ex Machina...). Il film è impietoso, radicale, distopico, speriamo non profetico (avrebbe potuto esserlo se Trump fosse stato ucciso), racconta un futuro in cui gli Stati Uniti sono sull'orlo del collasso. Non si sa, e non importa sapere, cosa abbia scatenato la guerra civile. Da una parte c'è un gruppo di Stati ribelli guidati da Texas e California, dall'altra il Governo Centrale con un presidente al Terzo mandato (ma non si dice mai se è democratico o repubblicano). Tutte le atrocità delle guerre che abbiamo sempre visto in giro per il mondo adesso hanno come sfondo surreale l'America... Non si sa più chi siano i ribelli o i patrioti, la linea del fronte lambisce simbolicamente la Statua della libertà.

Alla fine la scena che concretizza di più l'incubo è questa di metà pellicola. C'è un miliziano in mimetica, fucile d'assalto spianato, capelli a spazzola ma biondo platino ed enormi occhiali da sole a forma di cuore (poco prima c'era un cecchino con le unghie smaltate di rosa). Di fronte ha quattro giornalisti impietriti dal terrore. «Chi siete?», chiede freddo. Risposta: «Americani». C'è un lunghissimo silenzio: «Che tipo di americani?». La domanda che ora in molti avrebbero paura di vedersi porre.

In realtà al film c'è un precedente, con piglio più ironico e grottesco. Ma non per questo meno inquietante. Si tratta de La seconda guerra civile americana, è del 1997 e la regia è di quel geniaccio di Joe Dante. Questa volta a far partire lo scontro è lo stato dell'Idaho che non vuole accogliere i profughi che arrivano da una Karachi bombardata nuclearmente dall'India. Non è propriamente cattiveria è che il Rodhe Island è ormai a maggioranza cinese, Los Angeles è divisa tra neri ed ispanici. Insomma una situazione di quelle che paventa Trump... E alla fine il Paese esplode anche grazie alla cialtroneria di una redazione televisiva che coopera ad aumentare il caos per questioni di share. In questo caso la scena più iconica mostra dei messicani che fanno saltare in aria per vendetta il forte di Alamo. Nel mentre un cittadino di origini ispaniche dice all'intervistatore televisivo in un pastiche linguistico: «Esto cauntrio es mucho fottuto!». Ma su questa falsariga appena un po' meno accennata le pellicole si sprecano. La serie di romanzi e di film Hunger Games ci propone un nord America post apocalittico dove la nazione di Panem ha sconfitto la rivolta di alcuni dei suoi distretti e proprio per questo la capitale ogni anno richiede un tributo di sangue. Uno dei film meno riusciti di Kevin Kostner, Il portalettere, proponeva un'America post atomica dove il sogno era ricostruire il rassicurante potere di Washington e i cattivi erano dei militari secessionisti. Stessa storia per un videogioco come Days Gone.

Se invece ci spostiamo sulla letteratura dura e pura ci ritroviamo per le mani una guerra civile dura e pura. La seconda guerra civile americana di Andrew Macdonald (pseudonimo di William Luther Pierce), in Italia pubblicata per i tipi di Bietti, propone un durissimo scontro su base razziale. Siamo nei primi anni Novanta di un Novecento reinventato. Dei suprematisti bianchi, razzisti e antisemiti, noti come l'Organizzazione, decidono di muovere guerra al Governo Federale. Partendo da una serie di attentati, il crescendo di violenze volte a destabilizzare l'ordine sfocia in guerra aperta contro le altre etnie e quello che viene definito il Sistema, culminando in un inquietante epilogo atomico su scala globale. Il tutto raccontato nelle pagine dei diari del patriota bianco Earl Turner. Il risultato è un testo tra i più controversi della cultura americana. Che del resto reinterpreta, in un certo senso, la follia che caratterizzò la setta creata da Charles Manson negli anni Sessanta.

La predicazione del santone omicida si incentrava sul provocare uno scontro interrazziale tra bianchi e neri al termine del quale la Famiglia (la sua setta), rimasta nascosta in un mistico pozzo nella Valle della Morte, sarebbe stata chiamata ad assumere il comando supremo. Da brividi... Ah e se pensate che questa sia una narrazione senza colonna sonora: ascoltate almeno Civil War dei Guns&Roses e capirete che anche la musica a stelle e strisce conosce bene quest'incubo.

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