Da Marziale, che in un epigramma si lamenta di un rivale che in pubblico legge i suoi versi spacciandoli per propri, a Roberto Saviano, condannato per aver copiato alcuni articoli di cronaca nel suo romanzo Gomorra, la storia del plagio letterario è molto lunga e molto divertente.
Per stare ai grandi nomi italiani, due scrittori che brillano nel campo delle appropriazioni indebite - chiamiamole così - sono veri giganti del '900: Luigi Pirandello e Gabriele d'Annunzio. Dei classici. Il primo, quando aveva già pubblicato Il fu Mattia Pascal, si trovava in una situazione economica difficile e per racimolare in breve tempo titoli da presentare al concorso per una cattedra alla facoltà di Magistero fu costretto ad abborracciare il saggio L'umorismo, con una marea di pagine rubate a man bassa a libri di Alfred Binet, Gabriel Séailles, Gaetano Negri e Giovanni Marchesini. Il secondo, invece, razziava versi con la stessa foga con cui amava le donne, tanto da essere soprannominato il «sublime plagiatore»: rapinò Maupassant, Baudelaire, Verlaine, Zola e Flaubert...
Bene. Oggi Angelo Piero Cappello, fine studioso dei due autori, aggiunge qualcosa di nuovo - e di molto curioso - alla materia. È una vera scoperta e la consegna al suo saggio D'Annunzio e Pirandello. Cordialissimi nemici (Ianieri edizioni) in cui prima ricostruisce il rapporto di gelosia e invidia fra i due scrittori (il siciliano in particolare non risparmiò insulti e critiche al Vate), e poi esamina in parallelo la «prosa di ricerca», di inusuale tema cristiano, Il Vangelo secondo l'avversario (1924) di D'Annunzio, caratterizzata da un frasario ritmicamente ridotto al minimo, con fasi frante, uninominali, e l'ultima pagina di Uno, nessuno e centomila (1926), segnata - quasi a sorpresa rispetto al resto del romanzo - da una scrittura afasica, destrutturata... Ed ecco l'intuizione di Cappello: che il finale del capolavoro dell'«astioso» professor Pirandello - che pure tanto odiava il rivale Gabriele d'Annunzio - nasce da una attenta lettura di uno scritto poco conosciuto del poeta-guerriero.
«Fu così - è la conclusione di Cappello - che Pirandello, pur dicendo di odiare quello spregevole uomo che sosteneva fosse d'Annunzio, si ritrovò alla fine a stimarne a tal punto l'arte da lasciarsene ispirare in una delle più famose pagine del suo romanzo più bello».Dove il termine «ispirato», aggiungiamo noi, può essere letto come sinonimo di «copiato».
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