Così le Regioni riempiono le casse dei partiti

Piemonte, per una sigla anche 1,4 milioni. All’Aquila fondi agganciati «ai prezzi per operai e impiegati»

Giuseppe Salvaggiulo

Contributi per decine di milioni di euro, uffici che occupano interi edifici, computer fax e telefoni con bollette pagate, centinaia di segretari, perfino rimborsi per aggiornamento professionale. Ecco a voi il finanziamento pubblico ai gruppi dei Consigli regionali. Un’altra voce del capitolo «costi della politica». A spese del contribuente.
Un sistema molto generoso, che in un anno costa alla Regione Veneto 4,4 milioni di euro e può garantire a un gruppo piemontese fino a 1,4 milioni. Un canale capillare e invisibile: spesso stabilito con oscure delibere dell’ufficio di presidenza, si perde nelle pieghe dei bilanci. Opera in modo automatico e, particolare non indifferente, a stabilirne entità, presupposti e condizioni sono le stesse persone che lo incassano. Cioè i consiglieri, i quali non fanno altro che rivedere e aggiornare le norme (e soprattutto le somme). In trent’anni, hanno sfornato 150 leggi dedicate esclusivamente a questa materia. Più le molteplici norme inserite in leggi a contenuto vario. Il record spetta alla Liguria, che è riuscita a produrre sedici leggi: nel 1990 addirittura due nel giro di un mese, nel 2001 tre in 7 mesi (e di mezzo c’era l’estate).
Districarsi nell’esito di tale furore legislativo è un’impresa. A ciascun gruppo consiliare ligure è assegnato un contributo mensile di 1.500 euro «per iniziative politiche» più 750 per ogni componente «per attività legate ai lavori del Consiglio». A ciò si aggiunge un’ulteriore somma, ricavata con un’operazione matematica: il 10% del totale dei contributi di cui sopra diviso per il numero dei consiglieri. Il risultato è un’altra mancia di alcune centinaia di euro. Ma non è tutto. Ogni gruppo riceve anche una cifra per il personale, determinata sulla busta paga (lorda, compresi straordinari e buoni pasto) di due dirigenti regionali. Per i gruppi più numerosi, questa voce va moltiplicata per coefficienti variabili, anche superiori a dieci.
Fin qui i denari. Poi ci sono «attrezzature e servizi», forniti in quantità dal Consiglio: uffici, telefono, fax, computer, posta, cancelleria...
Naturalmente la Liguria non è l’eccezione, ma solo la sublimazione della regola. Analoghe regole esistono ovunque: un contributo fisso uguale per tutti, uno flessibile sulla base dell’ampiezza dei gruppi, un altro per ciascun consigliere. Più uffici e personale.
Solo la Toscana - onore alla trasparenza - pubblica sul sito internet dei gruppi la legge che determina i contributi mensili. Ma non è meno intricata e munifica delle altre: ogni mese 1.800 euro fissi per gruppo più 450 per ciascun consigliere più 200 per ciascun consigliere privo di altre cariche (i cosiddetti peones) più un’altra somma variabile da 248 a 407 euro.
Una norma specifica è dedicata «all’aggiornamento, studio e documentazione, comprese l’acquisizione di consulenze qualificate e la collaborazione di esperti, nonché alla diffusione nella società civile della conoscenza dell’attività dei gruppi»: ancora 1.539 euro per i monogruppi, fino a 3.316 per quelli con oltre venti consiglieri. Previsione, quest’ultima, tagliata su misura per i Ds, che in Toscana sono l’unico partito a poter superare i venti consiglieri (ne hanno ventitré).
In Toscana tutti i contributi sono erogati con rate trimestrali anticipate e ai gruppi sono garantiti «locali, attrezzature e beni strumentali». Quanto ai telefoni, canone fisso e 80 per cento dei consumi sono a carico della Regione. Viceversa in Piemonte il Consiglio regionale mette a disposizione dei gruppi - oltre ad analoghi contributi monetari - solo gli uffici, ma telefoni e bollette sono a carico dei politici.
In Puglia le spese telefoniche sono conteggiate come una voce a parte: 1.800 euro annui per ogni gruppo, altrettanti per ogni consigliere. La legge umbra garantisce «terminali, telefax, personale computer, fotocopiatrici e una o più linee telefoniche interne ed esterne». Il Veneto pagherà quest’anno 340mila euro solo per telefoni, cancelleria, posta e fotocopie dei gruppi.
In Basilicata, oltre a contributi economici e personale, la legge si cura di prevedere una «sede adeguata» per ciascun gruppo con «verifica annuale della sua congruità». Casomai da un anno all’altro gli uffici diventassero stretti. In Lombardia, gli uffici dei gruppi occupano tre piani del palazzo del Consiglio regionale e si estendono per oltre 3mila metri quadrati. In Piemonte, sono dislocati in quattro edifici. Hanno provato ad accorparli: tentativo fallito.
La Calabria assegna 2mila euro mensili per ciascun gruppo più 1.000 per ogni consigliere. Inoltre ogni anno viene erogato un ulteriore contributo che dipende dalla consistenza dei gruppi: da 5.165 euro per i più piccoli a 18.592 per i maggiori. Per l’assegnazione del personale c’è un’apposita tabella: i gruppi più numerosi hanno a disposizione fino a otto unità. In Veneto si arriva a concedere fino a dodici segretari per un gruppo consiliare.
In Abruzzo, il timore dell’inflazione ha indotto i consiglieri a prevedere per legge «l’aggiornamento periodico dei contributi in relazione all’indice di variazione dei prezzi al consumo per operai e impiegati». Non solo.

«Al fine di agevolare l’attività dei gruppi consiliari in materia di redazione del nuovo Statuto della Regione», nella passata legislatura i partiti abruzzesi si sono assegnati un contributo straordinario di 385mila euro in quattro anni.
Peccato che la legislatura sia finita, i soldi pure ma il nuovo Statuto non è ancora stato approvato.
giuseppe.salvaggiulo@ilgiornale.it

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