Un animale politico. La definizione che Aristotele dà dell'uomo, politikòn zôon, ma anche la definizione che ciascuno di noi dà di chi sia un leader carismatico.
La politica sarà pure una scienza ma, da sempre, le metafore che la riguardano hanno a che fare con l'animalità, ne fanno largo uso. Come si fa ad essere un re? La Bibbia ha le idee chiare: «Tre esseri hanno un portamento maestoso... sono eleganti nel camminare: il leone, il più forte degli animali, che non indietreggia davanti a nessuno; il gallo pettoruto, il caprone è un re alla testa del suo popolo». E i re della stirpe di Davide avevano come simbolo il leone. Così come nei templi egizi l'immagine di Ramesse II è accompagnata da quella del suo leone e mentre combatte indossa la khepresh che simboleggia la forza del cobra.
E in egual misura, sin dall'antichità, la metafora animale è anche usata per colpire l'avversario politico, per sminuirlo. Alla fine per gli antichi greci perché non ci si può fidare dei barbari? Perché quando parlano fanno «bar-bar» il verso dei cani. Eppure proprio perché più vicini all'animalità questi uomini-altri possono anche essere temibili. Ecco allora prosperare nei secoli il mito dei temibili Cinocefali, un popolo dalla testa canina temibilissimo in guerra, selvaggio eppure dotato di caratteristiche umane. Insomma l'ambiguità del politico incarnata, il trittico uomo - volpe -leone di Machiavelli trasformato, con largo anticipo, in mito pseudoetnografico (preso però per vero per secoli).
E, nei secoli, l'animale è stato associato, come vedete nell'illustrazione della pagina a precedere, dopo essere transitato dall'araldica familiare, anche alle intere nazioni. L'orso russo, il dragone cinese che ormai finisce in tutti i titoli di giornale, il leone britannico e l'aquila americana. Aquila, ad esempio, che non piaceva a Theodore Roosevelt, ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti. Lui personalmente avrebbe scelto il Grizly. Lo considerava più simile nella natura profonda agli americani e gli piaceva l'idea di avere un orso più grosso di quello dei russi...
Insomma, il libro appena pubblicato da Gianluca Briguglia, professore di Storia delle dottrine politiche all'Università Ca' Foscari di Venezia ha un titolo che coglie nel segno: Bestiario politico (HarperCollins, pagg. 156, euro15).
Arioso nella forma, il testo è tratto da un podcast, il volume si muove sul filo di alcune delle più interessanti suggestioni relative alla «bestialità» e alla politica. A partire proprio dall'origine, ovvero dal mito di Adamo ed Eva. Come in un bestiario - nel Medioevo si trattava di una categoria sapienziale di volumi che raccoglievano brevi descrizioni di animali (reali o fittizi), accompagnate da spiegazioni moralizzanti e riferimenti tratti dalla Bibbia- la riflessione muove sempre le mosse da una rappresentazione che nasconde altro.
Così si parte dal Peccato originale di Albrecht Dürer, dal dettaglio in basso nell'incisione. Un secondo prima che la mela venga morsicata un gatto guarda il topo. Siamo all'attimo «-1» della politica. La violenza non è ancora scattata, non c'è bisogno di un potere che la controlli. Ma un attimo dopo il mondo diventerà come lo conosciamo.
Pieno di mostri e di animali che sono immaginari ma sono anche l'esatta descrizione di quello che la politica genera. E in questo caso la fanno da padrone i cinocefali di cui prima accennavamo. Tornano a ripetizione. Deve ragionarci sopra persino Sant'Agostino, che alla loro esistenza non crede molto ma che prende atto: se sono razionali, se creano una civitas, vanno considerati umani. Come dargli torto, la politica si muove proprio sul discrimine dove la violenza «animale» è messa sotto controllo. E poi la narrazione prosegue passando anche da pensatrici relativamente dimenticate, come Christine de Pizan (1364-1430) e arriva sino a Nicolò Machiavelli (1469-1527).
Col pensatore fiorentino il tema del bestiario politico esce dall'inconscio collettivo. Leoni, aquile, volpi, cervi dorati escono dall'araldica. Il manto di pantera dei faraoni viene deposto, così come il palco di corna indossato dai re dei celti o le pelli d'orso dei berserkir. La teorizzazione diventa chiara. La natura del centauro Chirone si svela: «Avere per precettore qualcuno che è mezzo bestia e mezzo uomo - non vuol dire altro se non che un principe deve saper adoperare l'una e l'altra natura: e che l'una senza l'altra non può durare».
Ma questo terribile equilibrio che resta sospeso sulla politica di oggi non fa dormire sonni tranquilli. Briguglia cita una intervista di Bill Clinton: «Se parliamo di Osama Bin Laden - un ragazzo intelligente, ho passato molto tempo a pensare a lui - sto dicendo che l'ho quasi preso... Avrei potuto ucciderlo, ma avrei dovuto distruggere una piccola città chiamata Kandahar e uccidere 300 donne e bambini innocenti. A quel punto non sarei stato migliore di lui e non lo feci». Dopo ci fu l'11 settembre 2001 e morirono 2977 innocenti e poi ci fu la guerra in Afghanistan con un corollario di circa 600mila vittime.
Maledette bestie della politica, non ci lasciano dormire, continuano a chiederci se siamo disposti ad entrare nel male, almeno quando è necessitato. E allora ogni epoca ha il suo bestiario che si spera non ci porti dritti dritti nella Fattoria di George Orwell, governata dai maiali.
Preferiremmo di gran lunga il «cinghiale bianco» di Battiato. Però, non a caso, Briguglia chiude parlando della più cupa delle pandemie: la peste. Ma dalla peste, un batterio davvero bestiale, è nata una grande rinascita. Anche la Fenice è un gran simbolo politico.
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