Cozzi sotto torchio: «Ho ucciso per difendermi»

«Abbiamo parlato solo delle accuse relative alla morte del signor Vitiello»: così, in una pausa del lungo interrogatorio, il legale dell’ex conduttore Rai Alessandro Cozzi risponde ieri alle domande dei cronisti. Davanti al pm Maurizio Ascione, Cozzi si sarebbe cioè limitato a definire meglio la sua versione su quanto accaduto il 29 marzo negli uffici al Corvetto della Agenzia formazione lavoro, quando Ettore Vitiello cadde trafitto da una quantità impressionante di coltellate. Finora Cozzi ha sempre sostenuto di avere reagito per difendersi, al termine di una lite con Vitiello per motivi d affari. Su questa linea, in parte smentita dalle risultanze delle indagini, Cozzi è abbarbicato per cercare di evitare una pesante condanna per omicidio volontario. Ma sa anche che sulla sua testa si addensano anche altri guai.
Ieri, dicono i legali, si è parlato solo della morte di Vitiello. Ma in realtà c’è un altro delitto per il quale presto o tardi Cozzi dovrà rispondere alle domande degli investigatori (che, secondo altre fonti, qualche domanda informale al proposito gliel’hanno fatta già ieri): è la morte di Alfredo Cappelletti, anche lui legato a Cozzi da rapporti di affari, e anche lui morto per una coltellata al petto un giorno del 1998. Archiviata a quei tempi come suicidio - nonostante l’opposizione della famiglia - la morte di Cappelletti è tornata d’attualità nelle settimane scorse.

Se Cozzi - il tranquillo e rispettabile conduttore televisivo - è stato in grado di trasformarsi una volta in assassino, la stessa cosa potrebbe essere accaduta tredici anni fa. A tanta distanza di tempo la riapertura di un fascicolo d’inchiesta potrebbe risultare piuttosto complicata: ma la cronaca anche recente ci ha offerto la soluzione di più di un cold case apparentemente senza speranza.

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