«Crediti» compensativi per i Paesi meno virtuosi

Ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990 nel quinquennio 2008-2012: è l’impegno stringente che gran parte dei Paesi industrializzati si è assunta ratificando, nel febbraio 2005, il protocollo di Kyoto. Ventotto articoli che hanno segnato un deciso passo avanti nella lotta contro il riscaldamento del pianeta e che contengono obiettivi vincolanti. E mentre l’Ue ha aderito al protocollo già nel 2002 e portato all’8% la riduzione attesa delle proprie emissioni stabilendo quote specifiche per ciascuno Stato membro (il 6,5% per l’Italia), altri Paesi lo hanno respinto. Come Usa e Australia che hanno preferito sottoscrivere nel 2005 il patto Asia-Pacifico, cui partecipano anche Cina e India e al quale lo scorso anno ha aderito anche il Canada, nel quadro di una convenzione volta soprattutto allo sviluppo di tecnologie pulite e che evita di fissare investimenti e impegni vincolanti in termini temporali e di metodo, stimolando invece accordi volontari tra le industrie e lo sviluppo di soluzioni hi-tech per la riduzione dei gas serra.

Il protocollo di Kyoto, oggi ratificato (o in via di ratifica) da 174 Paesi, responsabili del 62% delle emissioni globali di gas serra, prevede la promozione dell’efficienza energetica, delle fonti di energia rinnovabili e di un’agricoltura sostenibile, accanto ad attività di cooperazione e meccanismi di mercato, come l’acquisizione e lo scambio di diritti di emissione, che permettono a un Paese che abbia ottenuto una diminuzione delle proprie emissioni oltre gli obiettivi prefissati, di cedere i relativi «crediti» a un Paese che, invece, non sia stato in grado di rispettare l’impegno.

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