Gli ultimi dati sull'occupazione registrati dall'Istat a dicembre hanno risvegliato l'ottimismo per il mercato del lavoro in Italia. Gli occupati sono aumentati dello 0,1%, per un totale di 23 milioni 754mila persone che hanno dichiarato di avere un impiego. Anche il tasso di disoccupazione (pari al 7,2%) è ai minimi da quindici anni. Il leitmotiv è che i posti di lavoro aumentano costantemente.
La ripresa riguarda soprattutto il Mezzogiorno e le posizioni a tempo indeterminato, incrementate negli ultimi dodici mesi grazie alla maggiore propensione delle aziende a convertire i contratti a termine in permanenti. Numeri che testimoniamo la congiuntura favorevole iniziata dopo la pandemia, nonostante il lungo tunnel dell'inflazione che ha influito sugli indici di crescita altrimenti superiori a quelli rilevati.
Il punto debole del Paese resta il collocamento dei giovani. Nel 2023, sempre secondo l'Istat, il tasso di occupazione nella fascia d'età 15-24 anni ha segnato +13% rispetto al 2022. Dati che però non bastano a restituire una sintesi rincuorante, anzi.
Il ricambio della forza lavoro costituisce un enorme ostacolo per chi si confronta per la prima volta col mercato italiano. Il governo è intervenuto stanziando nuovi fondi per la staffetta generazionale, ma rimpiazzare chi va in pensione non è sufficiente. C'è poi il fenomeno dei «Neet», i giovani fra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano.
Si tratta di una realtà allarmante che condanna l'Italia a livello europeo, fanalino di coda dell'Ue con il 17,7%, record che, se esteso fino ai 34 anni, si traduce in
oltre tre milioni di soggetti. E che, secondo l'Associazione nazionale consulenti del lavoro, sono diventati quasi introvabili per i percorsi di formazione, talmente disinteressati e disincantati dall'offerta lavorativa.
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