«Trentacinque anni di insegnamento, niente lauree false, niente tasse non pagate», così ci diceva Luca Beatrice nell'ultima intervista, meno di un anno fa, improvvisando la sua biografia all'indomani della nomina alla presidenza della Quadriennale di Roma. Sta tutto qui il Beatrice-curriculum: tanto lavoro e abbondante ironia, il gusto di fare le cose per bene, senza prendersi troppo sul serio. Aveva pensato di intitolare questa Quadriennale in arrivo a Roma dal prossimo ottobre semplicemente Fantastica, «nel senso del verbo aveva precisato - che è un invito a riscoprire la potenza del simbolico e la forza dell'immaginazione, che è soprattutto dentro di noi». Per questo suo ultimo grande progetto espositivo corale che racconta la scena dell'arte contemporanea degli ultimi venticinque anni, Luca Beatrice è stato capace di coinvolgere curatori di spicco con anime molto diverse come Luca Massimo Barbero, Francesco Bonami, Emanuela Mazzonis di Pralafera, Francesco Stocchi, Alessandra Troncone. Perché nei progetti curatoriali, nel lavoro di docente e in quello di giornalista (già collaboratore di questo Giornale, dove lascia vari amici, era firma di Libero), Luca Beatrice ha sempre agito seguendo l'istinto, provando a costruire ponti. Tra cultura alta e cultura bassa, ad esempio, tra arte contemporanea e musica, tra classicismo e postmoderno.
«Vecchio punkettaro» (la definizione è tutta sua) e torinese di convinta fede juventina, Beatrice girava quasi sempre in jeans e giubbotto, aria informale e battuta pronta. Autodichiaratosi «di destra», al Giornale dell'Arte che gli chiedeva conto degli attacchi ricevuti per la nomina alla Quadriennale, aveva risposto schietto: «Sono attacchi politici, che non hanno a che fare con l'arte e la sua conoscenza. Io sono di destra e quando la destra è al governo vengo preso in considerazione dalle istituzioni pubbliche, esattamente come tanti miei colleghi di sinistra vengono prescelti in momenti in cui al governo c'è la sinistra».
Luca Beatrice, che ad aprile avrebbe compiuto 64 anni e che sempre parlava con gioia della sua grande famiglia, specie dell'ultimo dei quattro figli, il «piccolo di casa», nutriva interessi svariati, ma l'insegnamento era la professione di cui andava più orgoglioso: ha insegnato Storia dell'arte all'Accademia Albertina di Torino, allo IED, allo Iulm di Milano e prima ancora all'Accademia di Belle Arti di Palermo e a quella di Brera di Milano. Ha scritto come critico su svariate riviste, tra cui Flash Art, ritagliandosi fin dagli anni Novanta uno spazio nell'ambito delle curatele sulle arti figurative italiane, con mostre molto originali come quella dedicata a Marco Cingolani. Nel 2009 è arrivato l'incarico di una vita: Luca Beatrice, insieme a Beatrice Buscaroli, è scelto dal Mic per curare il Padiglione Italia alla 53esuma Biennale d'Arte di Venezia: il padiglione «dei due Beatrice» (così si semplificava all'epoca, ma il titolo era Collaudi) aveva messo al centro della riflessione l'opera di Filippo Tommaso Marinetti e analizzava il Futurismo come prima vera avanguardia del Novecento. Oggi, tra mostre, anniversari e convegni, parrebbe tutto scontato, ma all'epoca la scelta sorprese, e non poco. Chiusa la Biennale in Laguna, Beatrice ha seguito con sabauda pazienza, tra il 2010 e il 2018, il delicato meccanismo del Circolo dei Lettori di Torino e nel frattempo ha curato una serie di mostre, da quella su Andy Warhol a Palazzo Ducale di Genova alla collettiva su Pollock e la scuola di New York a Palazzo Reale, senza dimenticare incursioni pop quali la mostra sul mito della motocicletta come arte alla Reggia di Venaria o l'esposizione su Diabolik alla Mole di Torino.
Tra i volumi pubblicati, le gustose biografie su Renato Zero e Lucio Dalla, il saggio Da che arte stai? Dieci lezioni sul contemporaneo, longseller Rizzoli, e l'ultimo volume, questo pubblicato da Marsilio, Le vite. Un racconto provinciale dell'arte italiana scritto perché era allergico a gerarchie e snobismi: «L'Italia è policentrica ci disse - e nell'arte un ruolo importante lo ha anche la provincia».
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