Croce e Gentile come separati in casa

Dopo il "dissidio mentale", nel 1924 ci fu la rottura per motivi "di natura pratica e politica"

Croce e Gentile come separati in casa

Quando lo chiamò a fare parte del suo governo come ministro della Pubblica Istruzione all'indomani della marcia su Roma, Mussolini non conosceva Giovanni Gentile se non, forse, per sentito dire. Il nome gli fu fatto, sembra, da Agostino Lanzillo, vecchio sindacalista rivoluzionario e amico del futuro Duce, e da Ernesto Codignola. Il filosofo, all'epoca non era iscritto al partito ma accettò di far parte del governo come indipendente a condizione che fosse garantita l'introduzione nelle scuole secondarie dell'esame di Stato già proposto e caldeggiato da Benedetto Croce. Appena avuta notizia della nomina, Croce inviò a Gentile un telegramma - «Vedo con gioia adempiuto mio antico voto» - cui fece seguire una lettera nella quale scriveva: «Ciò che ti è accaduto ora, stavo preparandotelo io, mesi addietro, quando si riparlava del ritorno di Giolitti, il quale (...) mi avrebbe richiamato. Ed io avevo fatto il fermo proposito (...) di dare, invece della mia persona, un buon consiglio: che era di chiamare te. The right man in the the right place, è proprio il caso. Tu ti sei preparato, pur senza proportelo, a questo ufficio; e lo terrai degnamente, e, spero, aiutando i fati, utilmente e con tua soddisfazione». Nei giorni e nei mesi seguenti Croce si rivolse più volte a Gentile per offrirgli suggerimenti e chiedergli interventi di vario genere, anche per amici: lo pregò, per esempio, di ottenere da Mussolini l'inserimento del nome di Alessandro Casati fra quelli dei prossimi senatori.

L'ultimo volume - il quinto in due tomi - del Carteggio fra Croce e Gentile (Aragno, pagg. 970, euro 60), egregiamente curato da Cinzia Cassani e da Cecilia Castellani, è relativo al periodo 1915-1924 e documenta i rapporti fra i due fino al momento della rottura definitiva. Questa avvenne nel 1924 e fu sancita dalle lettere che i due si scambiarono fra il 23 e il 24 ottobre di quell'anno. Gentile aveva saputo da Casati che Croce era «scontento» di lui «per motivi d'ordine morale» al punto di voler «rompere» la loro lunga amicizia. Scrisse dunque: «Ho fatto parecchie volte esami di coscienza, fatto ogni sforzo per frugare e rifrugare nella memoria. Ho trovato che qualche volta forse gli atti miei potevano esserti spiaciuti; come ho trovato che dalla parte tua non c'era stata sempre una grande cura di risparmiarmi ogni dispiacere. Ma, tutto sommato, son venuto sempre nella conclusione che nulla ci sia stato da attenuare, nonché spezzare, quel vincolo che ho sempre considerato indissolubile, di reciproca stima e d'affetto reciproco che ci lega da trent'anni. M'inganno?». Croce gli rispose immediatamente in questi termini: «Certo, noi da molti anni ci troviamo in un dissidio mentale, che per altro non era tale da riflettersi nelle nostre relazioni personali. Ma ora se n'è aggiunto un altro di natura pratica e politica, e anzi il primo si è convertito nel secondo; e questo è più aspro. Non c'è che fare. Bisogna che la logica delle situazioni si svolga attraverso gl'individui e malgrado gl'individui».

I primi dissensi fra i due risalivano, in effetti, a un tempo lontano. Nel 1913, infatti, sulle pagine della rivista prezzoliniana La Voce s'era sviluppata una polemica che, peraltro, non aveva intaccato il sodalizio. Croce aveva scritto, rivolgendosi agli allievi di Gentile e allo stesso Gentile «primo fra tutti così nel valore come nell'amicizia» parole non equivoche: «il vostro idealismo attuale non mi persuade» e aveva aggiunto: «Il vostro è misticismo». Dalle colonne del periodico la polemica era transitata nella corrispondenza privata: di fronte alle perplessità di Gentile sulla possibilità di «parlare liberamente di filosofia» su La Critica, la celebre rivista di Croce, questi aveva risposto che nulla sarebbe dovuto cambiare nei loro rapporti perché una loro separazione o rottura sarebbe stata «sotto l'aspetto morale, una bruttissima cosa, un pessimo esempio». E così il dissidio era stato, se non proprio ricomposto, messo da parte.

Poi c'era stata la Grande Guerra e i due avevano assunto posizioni diverse perché Croce era stato neutralista mentre Gentile aveva sposato la causa dell'interventismo. All'inizio di ottobre del 1919 Gentile inviò a Croce il programma della rivista che avrebbe cominciato le pubblicazioni all'inizio dell'anno successivo, il Giornale critico della filosofia italiana, presentandoglielo come «un germoglio della Critica». Qualche tempo dopo, il 28 dello stesso mese, Croce rispose di aver letto il programma e di averlo trovato «ottimo per contenuto e per forma» e sottoscrivibile «in ogni parte, salvo che in quell'accenno alla filosofia italiana», che gli sembrava «alquanto nazionalistico» e aggiunse: «Insisto con te privatamente sulla necessità di schiarire o di abbandonare il concetto nazionale della filosofia, perché teoricamente questo punto mi pare importante».

Intanto, le posizioni politiche andavano divaricandosi ancor più dal momento che Croce prese parte come ministro della Pubblica Istruzione all'ultimo governo Giolitti (1920-1921) mentre il giudizio di Gentile sul giolittismo era sempre stato tutt'altro che positivo, come si evince anche dalla corrispondenza intercorsa fra i due già nel 1915. Anche dal punto di vista filosofico, pero, i distinguo continuarono. In una lettera dell'11 gennaio 1920 Croce, che aveva polemizzato con alcuni allievi dell'amico, scrisse: «Certo che io ce l'ho con l'idealismo attuale! Primo, perché una volta fu causa che tu ti arrabbiassi con me; e, secondo, perché è diventato o minaccia di diventare una scoletta, cioè uno di quei tentativi che la gente che non pensa fa per sopraffare chi pensa». Ma aggiunse pure, a beneficio del suo interlocutore e per ribadire l'esistenza di un rapporto di stima e amicizia: «Ma qui è anche il limite della mia avversione. Non ce l'ho punto con l'idealismo attuale in quanto è il tuo pensiero su certi problemi logici o etici. Sotto questo aspetto gli porgo ascolto, lo medito, mi provo a trarne qualcosa per mio uso, e lo discuto e critico dove non mi persuade. E, per di più, reputo una fortuna che esista in Italia qualcuno dal quale io possa utilmente dissentire: sicché se tu non l'avessi inventato, dovrei pregarti d'inventare l'idealismo attuale o altra concezione, diversa in questo o quel punto dalle mie».

Peraltro, a prescindere dai distinguo, i due erano pienamente d'accordo sulla riforma della scuola e sull'introduzione dell'esame di Stato. Il 27 aprile 1923, appena approvata la riforma della scuola media, Gentile si affrettò a scrivere all'amico: «Desidero che tu ne sia subito informato, poiché a tanta parte di questa riforma abbiamo lavorato insieme». La risposta di Croce, in data 1º maggio, espresse «grande soddisfazione e gioia» ma precisò: «Tu hai potuto tradurre nel campo dei fatti un tuo antico pensiero; ed io mi compiaccio di avere in qualche modo preparata questa situazione presentando in tempi avversi un disegno di legge, che sapevo essere senza speranze pel presente ma che poteva essere, come è stato, un germe per l'avvenire».

L'interruzione della corrispondenza fra Croce e Gentile comportò la rottura dei loro rapporti personali. Le strade poi imboccate dai due sono simboleggiate dai Manifesti cui rimase legato il loro nome: quello gentiliano degli intellettuali fascisti e quello crociano degli intellettuali antifascisti. In un certo senso, però, le conseguenze del «divorzio» si sono fatte sentire anche sulle sorti del carteggio. Per molti decenni non fu possibile pubblicarlo per i veti incrociati degli eredi e si giunse all'incredibile soluzione di edizioni delle lettere dell'uno e dell'altro stampate separatamente e presso editori diversi.

Finalmente, ora, questo documento, importantissimo per la storia della cultura italiana (e non solo), ha potuto vedere la luce in una pregevole edizione critica destinata a rimanere come un punto di riferimento per gli studiosi.

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