"Alessia Pifferi fece morire la figlia per un weekend col compagno"

La 37enne è stata condannata in primo grado all'ergastolo per aver fatto morire di stenti la figlioletta di 18 mesi. Le motivazioni della sentenza: "Movente futile ed egoistico"

"Alessia Pifferi fece morire la figlia per un weekend col compagno"
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Alessia Pifferi, condannata in primo grado all'ergastolo per aver fatto morire di stenti la figlioletta di 18 mesi, Diana, lasciata da sola in casa per sei giorni nell'estate del 2022, è stata animata da un "futile ed egoistico movente". Lo si legge nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 13 maggio dalla Corte d'Assise di Milano. Secondo i giudici, la 37enne avrebbe anteposto "il suo desiderio di avere propri spazi autonomi", ovvero trascorrere un weekend col compagno, al "prioritario diritto/dovere di accudimento" della bambina.

"Cosciente del disvalore dell'abbandono della figlia"

Pifferi, scrivono i giudici, "sin nell'immediatezza si professava consapevole di aver tenuto una condotta sbagliata e pericolosa per l'incolumità della figlia. Falso che comprendeva e metteva a fuoco tali circostanze solo a seguito del percorso psicologico seguito in carcere". Nelle 50 pagine del provvedimento firmato da Alessandro Santagelo, il giudice estensore, e dal presidente della Corte Ilio Mannucci Pacini, si evidenzia come l'imputata fosse capace di intendere e volere al momento del fatto. "Per sua stessa ammissione, aveva certamente coscienza e volontà del disvalore della propria condotta di abbandono e della pericolosità della stessa per Diana, - si legge ancora - tanto da mentire alla madre ed allo stesso compagno su dove si trovasse la bambina: riferiva alla madre di averla portata con sé, mentre riferiva al compagno che la bambina si trovava al mare dalla sorella".

"Accusò il compagno di essere l'artefice morale"

Particolarmente significativo viene ritenuto l'atteggiamento dell'imputata nei confronti del compagno, "in sostanza accusato di esser stato 'l'artefice morale' dell'accaduto: non perdeva occasione l'imputata, nel corso del suo esame dibattimentale, per sottolineare come lui non accettasse la presenza di Diana e come la bambina per lui fosse 'un intralcio', come proprio a seguito di un litigio con l'uomo, che l'aveva anche intimorita, avesse desistito dal proposito di rientrare a casa lunedì 18 luglio".

"Fatto di elevatissima gravità"

Nelle motivazioni si ripercorre la morte della piccola Diana, abbandonata nell'appartamento di via Parea a Milano nel pomeriggio del 14 luglio del 2022, con accanto solo un biberon di latte e una bottiglietta d'acqua, e trovata senza vita nel suo lettino da campeggio solo il 20 luglio. Una morte che, svelerà poi l'autopsia, è avvenuta tra il pomeriggio del 18 luglio e la mattina del 20, in un quadro di "disidratazione spiccato". Un fatto ritenuto dai giudici di "elevatissima gravità", non solo giuridica, "ma anche umana e sociale".

Motivo per il quale alle 37enne non sono state riconosciute le attenuanti generiche. Inoltre, concludono i giudici, vi sarebbe stata una "carente rielaborazione critica del proprio agito omicidiario".

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