Consulta dice no a terzo genere: serve l'intervento del legislatore

I giudici hanno respinto la richiesta di riconoscere il genere non binario, ma l’obbligo di intervento chirurgico per il cambio di sesso “è incostituzionale”

Consulta dice no a terzo genere: serve l'intervento del legislatore
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La Corte Costituzionale ha negato la possibilità di riconoscere nei tribunali una presunta terza identità sessuale “non binaria”, ossia né maschile né femminile, nel caso di una rettifica giudiziaria di attribuzione di sesso. I giudici hanno inoltre invitato i legislatori ad occuparsi del dossier, riconoscendo la legittimità della richiesta delle persone del “terzo genere” di essere identificate come tali. Nella sua sentenza, la Consulta ha inoltre cancellato definitivamente l’obbligo per le persone transgender di avere l’autorizzazione di un giudice prima di procedere con l’operazione chirurgica: sarà sufficiente la valutazione dello psicoterapeuta e del chirurgo.

Come riportato dal Corriere, il caso riguarda una persona transgender di 24 anni che un anno fa ha iniziato la terapia ormonale e ha chiesto al Tribunale di Bolzano di poter cambiare nome sui documenti e di non essere indicato come genere maschile o femminile, ma come “altro”. Se i giudici di Bolzano avevano considerato giustificate le sue richieste, invocando l’intervento della Consulta, con la sentenza n. 143 la Corte ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate: “L’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria”.

Ma non è tutto. La Consulta ha infatti evidenziato che "la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità 'altra' – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.)" e che, "nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Cost.". Da qui, in linea con il diritto comparato e dell'Ue, l’invito al Parlamento – primo interprete della sensibilità sociale – a intervenire sul dossier. In altri termini, per i giudici introdurre il terzo genere per via giudiziaria produrrebbe eccessive incongruenze all’interno dell’ordinamento legislativo.

I giudici hanno inoltre incostituzionale l’articolo 31, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2011, che obbliga le persone transgender a ottenere l’autorizzazione del tribunale all’operazione.

Per la Consulta, considerando che il percorso di transizione passa attraverso trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, la prescrizione dell’autorizzazione giudiziale dell’intervento di adeguamento chirurgico “denuncia una palese irragionevolezza” nella misura in cui sia relativa a un trattamento chirurgico che "avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione". In seguito a questa sentenza, i trans hanno la possibilità di rivolgersi direttamente ai chirurghi per accedere agli interventi.

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