Dal 41 bis alla libertà. Scarcerato un boss mafioso per decorrenza dei termini

Noto anche come il “re delle scommesse”, Giuseppe Corona è stato condannato a 15 anni e 2 mesi

Dal 41 bis alla libertà. Scarcerato un boss mafioso per decorrenza dei termini
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Dal 41 bis alla libertà. Il boss di mafia Giuseppe Corona è stato scarcerato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare: questo quanto sancito dalla terza sezione della Corte d'appello di Palermo, che ha preso atto della scadenza (l'arresto risaliva al 2018) e ha ordinato la remissione in libertà dell’uomo, conosciuto anche il “re delle scommesse” dell’ippodromo.

Come anticipato, Corona – considerato il reggente del mandamento di San Lorenzo - si trovava al regime di di massima sicurezza, ma ha potuto sfruttare la decorrenza dei termini per lasciare il carcere e tornare libero quantomeno fino alla conclusione del processo. Dopo la condanna in primo grado a 19 anni, il boss è stato condannato a 15 anni e 2 mesi in appello lo scorso 27 marzo, ma la sentenza non è stata ancora depositata e non si può nemmeno fare ricorso in Cassazione. La terza sezione della Corte d'appello palermitana non ha potuto fare altro che accogliere la richiesta degli avvocati di Corona, Giovanni La Bua e Antonio Turrisi.

Secondo quanto ricostruito dall'accusa, Corona - di professione ufficiale cassiere alla Caffetteria Aurora di via Crispi - aveva un ruolo di cerniera fra varie articolazioni di Cosa nostra, facendo investimenti per conto di vari clan, soprattutto quelli di Porta Nuova e Resuttana, tra centri scommesse, compro oro e persino la vendita di preziosi al Monte dei Pegni.

Il caso di Corona non è isolato, anzi: pochi giorni fa è stato registrato un episodio molto simile, con il ritorno in libertà dei dieci condannati ritenuti vicini al boss Matteo Messina Denaro: anche loro avevano fruito della decorrenza dei termini, per un processo durato troppo.

La vicenda, legata al processo “Anno zero” contro la mafia trapanese, riguardava imputati dietro le sbarre da sei anni e mezzo: Nicola Accardo, Paolo Bongiorno, Filippo Dell'Aquila, Angelo Greco, Calogero Guarino, Vincenzo La Cascia, Giuseppe Tilotta, Antonino Triolo, Raffaele Urso e Andrea Valenti. Nel processo era imputato anche Gaspare Como, cognato di Messina Denaro, per un periodo reggente del mandamento di Castelvetrano.

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