Schiaffeggia la figlia dodicenne che aveva inviato delle foto osè a un ragazzo più grande e per questa ragione una donna è stata rinviata a giudizio e poi condannata con l'accusa di maltrattamenti. Il caso arriva da Roma e la sentenza a cui sono arrivati i giudici, a quanto pare, è derivata anche dalla situazione di disagio sociale in cui la ragazzina e la madre vivevano. Il fatto contestato risale a qualche anno fa, ossia al 2016. Secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, sono stati i servizi sociali della zona a inviare una segnalazione alle autorità competenti. Nel febbraio del 2016 la donna, tale B. C., aveva alzato le mani sulla figlia, all'epoca dodicenne, dopo aver visto sul cellulare dell'adolescente diversi scatti sexy inviati a un ragazzo di diciannove anni. In preda alla furia, le aveva dato uno schiaffo in pieno volto, ferendola alla bocca.
Un episodio che la minorenne aveva successivamente raccontato agli assistenti dei servizi sociali, che da tempo seguivano le due. Era il 2019 e, subito dopo le confidenze della minorenne, venne avviata un'inchiesta, con tanto di rinvio a giudizio per la madre. La vicenda portò a un vero e proprio scontro in aula. "Ma davvero è possibile giudicare maltrattamento uno schiaffo dato alla figlia perché invia foto osé a uno sconosciuto?", aveva domandato, con tono polemico, l'avvocato difensore di B.C. In sostanza, il legale affermava che i genitori devono essere liberi di fare i genitori e di educare i figli.
Ma alla donna non era contestato solo lo schiaffo. I giudici dovevano tenere in conto anche il carico psicologico che la ragazzina sopportava da tempo. La madre stava crescendo lei e i fratelli da sola, senza il sostegno di un compagno, e la minorenne doveva prendersi cura dei fratelli e della nonna quando B.C. si assentava da casa per lavorare. Alla fine la sentenza è arrivata. Il legale che rappresentava la quarantenne aveva chiesto l'assoluzione per la sua assistita, ma i giudici di piazzale Clodio l'hanno invece ritenuta colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia, dandole come pena un anno e sette mesi di reclusione. Il pm Eugenio Albamonte aveva chiesto per l'imputata una condanna maggiore, ossia tre anni di reclusione.
Secondo gli inquirenti, infatti, le vessazioni nei confronti della figlia non sarebbero cominciate nel 2016, con l'episodio dello schiaffo, ma da prima, dal 2012, quando i servizi sociali, in visita presso l'abitazione della famiglia, avevano trovato un ambiente caotico e non curato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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