"Mangia le briciole e le bucce, niente pigiama". Le assurde regole del marito violento

Con una sentenza di condanna al marito di tre anni per stalking, maltrattamenti, danneggiamento, finisce l'incubo durato 15 anni di una donna che ha avuto il coraggio di reagire ad una vita matrimonile fatta di violenza psicologica

"Mangia le briciole e le bucce, niente pigiama". Le assurde regole del marito violento
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È una storia di grande dolore ma anche di resilienza quella che arriva da Torino, raccontata in una lunga intervista al Corriere, dove una donna ha descritto l'incubo che per 15 anni è stata la sua vita coniugale, e solo grazie al suo grande coraggio, che deve essere d'esempio per tutti, è riuscita a venirne fuori e a diventare anche un punto di riferimento per tutte le altre donne che vivono una situazione simile alla sua.

La terribile vicenda

Ora dopo 5 anni dalla denuncia l'ex è stato condannato a tre anni di carcere per stalking, maltrattamenti, danneggiamento e accesso abusivo alla sua mail, ma quei lunghi anni di matrimonio non sono qualcosa che la donna dimenticherà facilmente. La vita della signora che ora ha aperto una pagina Instagram (la_magliettagialla) per raccontare la sua vicenda ed essere di aiuto ad altre donne, era fatta di regole ai limiti alla schiavitù. Non si potevano: "Sprecare le briciole quando si spezza il pane", oppure: "Bisogna mangiare la parte del salame che resta attaccata alla pelle. Mai usare l'estrattore, una modalità 'immorale' perché spreca la buccia della frutta".

Ma ancora c'era il divieto di: "mangiare carne di cavallo al sangue, perché sennò ero un animale; divieto di bere il vin brulé o di mangiare lo zabaione d’inverno, perché era un atteggiamento da vecchi", inoltre racconta la donna: "Anche la domenica dovevamo svegliarci presto e cambiarci, non potevamo stare in pigiama, perché era segno di pigrizia. E poi, era tutta una correzione, magari dicevo: 'Mia sorella ha fatto questo, gli ho detto…”; “Ah, ‘Gli ho detto’, perché tua sorella è diventata maschio?'. Non gli andava bene mai nulla di ciò che dicevo".

L'incubo

Alla fine, giorno dopo giorno, la donna rimane atterrita da queste continue violenze psicologiche tanto che spiega: "Ho reagito con il silenzio, per andare avanti ed evitare discussioni... anche un po' brutte". La storia segue il più classico dei copioni di violenza economica: "Il budget di casa era deciso da lui, non si poteva sgarrare, neppure davanti a un tavolino dell’Ikea perché si sforava il maledetto budget".

Dopo questi maltrattamenti a 360 gradi durati 15 anni, la donna trova il coraggio e denuncia, ma anche lì la paura di non essere creduta perché un conto sono le botte, un conto le vessazioni. Sembra quasi che queste siano considerate sopportabili, quando spesso sono molto più gravi dei maltrattamenti fisici. "È stata una sofferenza - racconta la donna - Il mese prima della sentenza, mi dicevo: chissà cosa dirà il giudice e come la prenderò io".

Il "lieto fine"

Ovviamente la parola lieto in questa vicenda è davvero inesistente ma per fortuna il "fine" c'è stato. Dopo la sentenza: "Mi sono sentita compresa e confortata. Sono andata a vedere sul vocabolario, e sotto 'compresa' c’è anche l’abbraccio". Quello della signora è stato un percorso logorante dove ha dovuto raccontare e rivivere tutto tante volte; agli assistenti sociali, agli avvocati, ai giudici.

"Devi avere il coraggio di parlare in aula, quando il cuore ti batte forte: la paura non è quella di parlare, ma quella di non farsi capire", dice ancora.

Alla fine dalla denuncia alla sentenza sono passati 5 anni nonostante per lei fosse stato attivato il codice rosso. Ma ora l'incubo è finito, anche se le ferite rimarranno profonde

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