
C'è un'Europa, senza confini, immaginata su un'isola con il mare fuori, dove chi combatte contro il fascismo ci vive recluso e smarrito. È in quei giorni senza tempo che una colonia penale di intellettuali ragiona di rivoluzione e libertà. Sono circa 800 e più di cinquecento sono classificati come comunisti, duecento come anarchici, il resto socialisti e liberali più o meno gobettiani. Si parla del domani, di quello che verrà, si discute e più di qualche volta si litiga. Il desiderio di mettere tutto questo su carta e scrivere una sorta di documento viene da qui. È quel manifesto che anni dopo verrà considerato la pietra d'angolo del federalismo europeo. È l'agosto del 1941 e in calce c'è la firma di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con il contributo fondamentale di Eugenio Colorni, di formazione crociana e sentimento socialista.
È questo lo spirito di Ventotene, rievocato più volte sul palcoscenico della piazza di Roma, per celebrare l'orgoglio degli Stati Uniti d'Europa. Ventotene come un sogno, una bandiera, un'idea in campo largo. Ventotene una felpa blu con stelle d'oro, una vita di arte e d'amore, un romanzo ancora da scrivere, un «non perdiamoci di vista». L'applauso verso un'utopia perduta che riappare nel momento del bisogno. Tutto, davvero, molto bello. C'è solo un punto oscuro all'orizzonte: ma che Europa è quella scritta a Ventotene? È soprattutto figlia di quel tempo. È la risposta a vent'anni di dittatura e al fallimento della democrazia giolittiana. È la fuga verso un «paradiso in terra» già sporco di sangue. Ventotene, per incantarsi, non bisogna guardarla troppo da vicino. È un'Europa socialista, ma non il socialismo dal volto umano, che ha fatto pace con la liberal-democrazia, ma pur dichiarando di voler fuggire dagli errori di Mosca rischia di finirci dentro. Il socialismo reale non è un accidente della storia. È proprio pensato così, con uno spirito, appunto, con cui perfino il Berlinguer degli anni '80 forse si sarebbe ritrovato un po' scomodo. Ci sono progetti come questi. «La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista». Ma che socialismo è? No, all'inizio non è certo né democratico né riformista. «La proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso e non dogmaticamente in linea di principio». La proprietà privata insomma è una concessione, un privilegio.
Il tema centrale è quello della rivoluzione. La fine del fascismo, ancora nel '41 solo immaginata, non può portare a un semplice ritorno alla democrazia. Non ci si può fidare degli italiani. Non si può neppure ipotizzare quella mano di bianco che Togliatti di fatto fece con l'amnistia. E nel 1941 è umanamente impossibile pensarlo. Serve una fase di passaggio. Serve l'etica della rivoluzione. «Occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria». A chi affidare la rivoluzione europea? Non alle classi operaie, perché c'è il rischio di passioni incontrollabili. «Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali». Detto questo sarà poi lo Stato, con buona pace degli anarchici, a svolgere la parte fondamentale. Le aziende strategiche vanno tutte nazionalizzate, i monopoli privati diventano monopoli statali e c'è un forte reddito di cittadinanza per chi non trova lavoro. «Quando si affida allo Stato il compito di regolare l'economia, esso diverrà padrone e non servitore dei cittadini, organo autoritario di distribuzione e non amministratore di interessi collettivi».
Gli Stati Uniti d'Europa pensati nel 1941 non sembrano il posto più liberal-democratico dove vivere. È normale che sia così. La stessa evoluzione politica e culturale di Spinelli e Rossi li porta lontani dalle tesi marxiste. La strada verso l'Europa non passa più attraverso la rivoluzione. Ernesto Rossi, soprattutto, è un punto di riferimento ancora adesso per liberali e libertari. È uno dei fondatori con Marco Pannella del Partito Radicale e considera la proprietà privata un fondamento della democrazia.
A sinistra, adesso, non sarebbe neppure particolarmente amato.È questo il punto. Si invoca lo spirito del Manifesto di Ventotene e il sogno di un'Europa federale, il dubbio è che ad alcuni di quelli che lo evocano possa piacere un po' troppo alla lettera.
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