
Tutti d’accordo: la ricerca universitaria è libera, va oltre guerre e bandiere, oltre politica e regimi. Finché non viene rubata. L’allarme spionaggio negli atenei - già affrontato nel 2022 dal Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza) - è stato riacceso dal sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministro Alfredo Mantovano: «Bisogna proteggere il sistema da infiltrazione indebite da parte dei governi stranieri - ha detto poche settimane fa - che sfruttano il carattere aperto dell’attività accademica per drenare conoscenze privilegiate e know-how». Il rischio proviene principalmente dai governi ostili: Cina, Russia e Iran. E i settori più delicati sono quelli in cui il Made in Italy eccelle: design, sviluppo dei semiconduttori, medicina, farmaceutica.
ATENEI COLABRODO
Il problema è ben noto all’interno degli atenei, dove sono attivi gli 007 dei servizi segreti ed è scattato il piano per proteggere dati e informazioni sensibili. Fino a pochi mesi fa infatti l’80% delle università e il 57% degli enti di ricerca non aveva programmi e regolamenti per tutelare la sicurezza della ricerca. E tanto meno sapeva come identificare, segnalare e rispondere agli incidenti sulle fughe di informazioni della ricerca.
IL PIANO ANTI SPIE
Il Governo ha varato un piano anti spionaggio che ora è in fase sperimentale ma che, entro il 2026, sarà operativo in tutti gli atenei italiani. Le infiltrazioni vengono stanate con un sistema di alert che puntano a scovare i progetti a sospetto intrusione. Ci saranno «zone a ingresso ristretto» e settori in cui sarà vietato o disincentivato cooperare con il paesi ostili. Di fatto il Governo declina un obbligo europeo, tratteggia le linee guida che dovranno essere applicate dai rettori ma non impone vincoli «tarpa-ricerca».
IL RISCHIO CINA
Tuttavia i controlli sono necessari. E i casi di spionaggio reali: in vari casi (sia in Italia che all’estero) la Cina ha portato in patria il know-how delle aziende e degli enti di ricerca per metterlo al servizio del regime, ha reclutato soggetti da «arruolare», si è infiltrata nelle aziende inserendo i suoi giovani nei master. Molte le situazioni border line in cui è delicato e difficilissimo trovare un equilibrio tra la sicurezza nazionale e la libertà accademica.
ALL’ESTERO
Il Canada ha bandito la collaborazione con il Bit, Beijing Institute of Technology, che invece in Italia ha accordi con almeno 12 atenei, e ha pubblicato l’elenco degli istituti che lavorano per armare la Cina. Gli Stati Uniti hanno chiuso tutti gli istituti Confucio che operavano all’interno delle università. Linea dura anche in Europa: dal 2022 è stata conclusa la collaborazione Confucio-università di Helsinki a causa del «metodo d’insegnamento che sfocia nella censura e nella propaganda». Anche il Belgio si è dato un limite: quattro anni fa ha vietato l'ingresso nell’area Schengen al professore cinese Song Xinning, ex direttore dell’istituto Confucio, con l’accusa di spionaggio. C’è anche una direttiva del ministero dell’interno tedesco per chiudere definitivamente «i centri di misinformazione».
«Sulla ricerca il presupposto è la libertà che parte dall’internazionalizzazione - commenta il ministro all’Università Anna Maria Bernini - Tutto questo deve avvenire nella sicurezza del prodotto intellettuale dei ricercatori e richiede degli anticorpi: il primo è la consapevolezza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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