I punti chiave
Filippo Turetta torna in aula per l’udienza che lo vede accusato dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Per lui il pm chiede l’ergastolo. Ma la coincidenza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne non inciderà sul giudizio: “Non ci saranno riflessioni sul femminicidio come tematica o alla Giornata di oggi, simbolo contro la violenza contro le donne, perché in questa sede si accertano solo responsabilità individuali”, ha confermato il pm Andrea Petroni.
Turetta è in aula e ascolta la requisitoria a testa bassa, mentre è assente il padre di Giulia, Gino Cecchettin, che nella scorsa udienza si era allontanato dalla corte d’assise mentre l’imputato descriveva gli ultimi momenti della vita di Giulia. “Vogliono capire chi è Filippo Turetta, ma per me è chiarissimo”, aveva detto papà Gino.
Turetta è accusato di omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Il delitto è accaduto l’11 novembre 2023 e Turetta è stato fermato in Germania, dopo essere stato cercato per 6 giorni dalle forze dell’ordine italiane: tradotto in Italia ha confessato nel carcere di Verona Montorio. “Noi siamo stati sempre prudenti nelle imputazioni, ma la richiesta finale di condanna è la conseguenza inevitabile dell'esito delle indagini”, ha aggiunto il pm.
La dinamica del delitto
Il pm Petroni ha ricostruito la dinamica del delitto. La Fiat Grande Punto di Turetta arriva a Vigonovo alle 23.08. Solo dieci minuti più tardi un uomo contatta i carabinieri “e descrive una ragazza picchiata che chiede aiuto […] L’aggressione è durata sei minuti Alle 23.18 è già finita”. Petroni smentisce quindi il “lungo dialogo” precedente di cui avrebbe parlato l’imputato, dato che “tutto è durato sei minuti”. Nel piazzale di Vigonovo dove l’autovettura avrebbe sostato, il giorno dopo sarebbero state trovate “tracce di sangue che evidenziano un’aggressione dinamica”.
Nei pressi della sua casa Giulia Cecchettin sarebbe quindi stata aggredita “ripetutamente”, per poi essere riaggredita nell’area industriale di Fossò, ma qui la violenza sarebbe durata “pochissimo”: “La persona inerme in terra che significa che tutta una serie di lesioni, in particolare le 25 lesioni sulle mani, l'immobilizzazione e il silenziamento sono avvenute prima, non hanno ragione di essere dopo”.
Per Petroni, l’omicidio di Giulia Cecchettin rappresenta l’ultimo atto “del controllo che Filippo Turetta voleva esercitare sulla ragazza”: “Il rapporto tra Giulia Cecchettin e l'imputato è caratterizzato da forte pressione, dal controllo sulla parte offesa, sulle frequentazioni e sulle amicizie, sulle uscite”. Non ci sono dubbi di colpevolezza quindi per il pubblico ministero, solo “imbarazzo della scelta” tra “prove talmente evidenti”.
Il pm si concentra anche sull’occultamento. Il corpo di Giulia Cecchettin è stato abbandonato nei pressi del lago di Barcis, coperto da sacchi neri, in una zona che di lì a pochi giorni sarebbe stata chiusa per il tempo invernale: il cadavere della 22enne era “in una nicchia, non so come l'abbia trovata l'imputato di notte. Se quella settimana avesse nevicato noi il corpo lo staremmo ancora cercando”.
Lapidario il pm anche sul fermo di Turetta in Germania. Quando arriva lì, l’imputato “non si sta costituendo, ma ha finito i soldi e si prepara all'arresto cancellando le prove sul suo cellulare”. E in più si sarebbe disfatto di alcuni oggetti potenzialmente incriminanti: “Non c'è il cellulare della vittima, non ci sono i vestiti insanguinati di Turetta”.
Lo stalking
Ma oltre omicidio e occultamento, in aula deve essere dimostrato anche lo stalking, testimoniato da chat e memorie dell’accusa. Le chat tra Turetta e Cecchettin, secondo Petroni, “trasmettono la rabbia che li anima quando vengono scritti”. La 22enne, prima di essere uccisa sarebbe stata bersaglio di “atti persecutori” ovvero le “richieste ossessive di Turetta di stare sempre vicini, alle richieste di studiare insieme su zoom, alle richieste di martellanti di non uscire con tizio o caio”: "Ci sono già i principi della violenza fisica, ci sono le minacce quando dice ‘la mia vita è finita e anche la tua se non ci laureiamo insieme’”.
Turetta ha raccontato agli inquirenti di non essere fuggito, ma di aver cercato di togliersi la vita: per Petroni rappresenterebbe un modo per manipolare non solo Giulia Cecchettin - a cui avrebbe espresso più volte pensieri autolesionistici - ma anche la magistratura: “La prospettazione del suicidio è fatta in modo esclusivamente ricattatorio e, per quello che riguarda la fuga in giro per l'Italia, a mio avviso lui parla della volontà di prendere tempo per trovare il coraggio di farla finita in chiave vittimistica. La verità è che è stata una fuga vera e propria. […] che le minacce di suicidio fossero reali o meno sposta poco in tema di configurabilità del reato, quello che cambia è l'azione manipolatoria nei confronti della parte offesa che viene poi proposta anche nei confronti della magistratura”.
Ti interessa l'argomento?
La premeditazione
La corte d’assise di Venezia sarà chiamata a esprimersi anche sull’ipotesi se ci sia stata o no premeditazione da parte di Turetta. Petroni ne è certo: "Difficile trovare una premeditazione più provata di questa”. Turetta, tra gli altri dettagli della narrazione giudiziaria, aveva stilato, 4 giorni prima del delitto, una lista di oggetti o cose da fare, una lista dell'orrore l'hano definita i media: l’imputato l’aveva descritta come uno sfogo a seguito di un litigio con Giulia Cecchettin.
“Le azioni della lista sono state attuate - rincara Petroni - Le azioni eseguite si sono susseguite tra il 7 e l’11 novembre con cadenza giornaliera. Non c’è alcuno scenario alternativo”.News in aggiornamento
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.