Open Arms, la procura di Palermo chiede 6 anni di carcere per Salvini

L'accusa mossa a Salvini è di avere impedito l'attracco della ong Open Arms. Il pm: "La libertà personale prevale sul diritto a difendere i confini". Il ministro: "Rifarei tutto"

Open Arms, la procura di Palermo chiede 6 anni di carcere per Salvini
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Oggi a Palermo si è svolta una delle udienze del processo Open Arms, che vede imputato Matteo Salvini, all'epoca dei fatti ministro dell'Interno. Le accuse a suo carico sono di sequestro di persona e di rifiuto di atti d'ufficio, per avere impedito l'attracco della ong spagnola Open Arms nel 2019. "Rischio fino a quindici anni di carcere per aver mantenuto la parola data agli elettori. Rifarei tutto: la difesa dei confini dai clandestini non è reato. Avanti tutta, senza paura", ha dichiarato il vicepremier e leader della Lega. Alla rine della requisitoria, la richiesta dei pm: "Condannate Matteo Salvini a 6 anni di reclusione per aver sequestrato i 147 migranti a bordo dell'Open Arms e per tutti i capi di imputazione".

La requisitoria del procuratore aggiunto

All'inizio della sua requisitoria, il procuratore aggiunto di Palermo, Marzia Sabella, ha sostenuto che il governo Conte Uno, in carica dal 2018, "con il suo contratto di governo prevedeva di sensibilizzare l'Europa per ottenere una equa distribuzione dei migranti". Il titolare del Viminale di quell'esecutivo, oggi ministro dei Trasporti, "ha ritenuto di potere squilibrare l'unità di misura dei beni giuridici in questione, in favore dei porti chiusi, quale strumento di pressione degli Stati membri". Sabella, ha proseguito nel portare avanti la sua tesi d'accusa, sostenendo che dal pool difensivo del ministro "si è prospettato che un natante di legno, in alto mare, navigasse in sicurezza, come se il capriccio di un'onda non avesse potuta farla ribaltare".

Nell'ultima parte della requisitoria, Sabella, ha dichiarato, aprendo a diversi scenari: "Il ministro Salvini aveva l'obbligo o no di dare il pos alla nave? Su questa domanda verte il processo. Per le norme del mare la risposta è scontata, ovvero sì aveva l'obbligo di dare terra ai naufraghi. La situazione sarebbe dunque semplice, ma in realtà è molto più complessa".

Sabella ha poi aggiunto che, a differenza di quanto dichiarato dal ministro, "era infondato il rischio che a bordo della Open Arms, fra i naufraghi non identificati, ci fosse la presenza di terroristi, intanto perché nessuno era andato a controllare se avessero documenti e in secondo luogo è discriminante perché il rischio che vi fossero terroristi derivava solo dalla nazionalità dei migranti". Per il procuratore aggiunto di Palermo, "le posizioni e le scelte del ministro Matteo Salvini diedero luogo a un caos istituzionale, una situazione che avrebbe portato ad approntare soluzioni di fortuna. A ritrovarsi in una condizione di estrema difficoltà fu la Guardia costiera che non poteva premere su un ministero da cui non dipendeva".

Nel richiedere la condanna a 6 anni di reclusione, Sabella ha sottolineato che al processo "è mancata la presenza della gran parte delle persone offese, perchè anche per poter essere persona offesa bisogna nascere fortunati. La maggiorparte di loro è irreperibile che in questo caso non significa fuggitive, criminale e nemmeno che siano rimaste illese dai giorni di restrizione sulla Open Arms: significa essere senza casa e senza altri elementi". E poi ha concluso: "La loro assenza fisica, così come il fatto di considerarli un insieme di migranti o peggio di clandestini, potrebbe non fare percepire l'esatto disvalore del fatto. Leggeremmo uno dopo l'altro i nomi di queste persone per ricordarle nella loro individualità, perchè è anche per ciascuna di queste persone che chiediamo la condanna dell'imputato, oltre che per difendere i confini del diritto".

La requisitoria del pm

Il pm Calogero Ferrara, invece, ha sostenuto la tesi secondo la quale l'oggetto della disamina odierna, atta a ricostruire il quadro giuridico internazionale e interno, "è quello dei Sar, Search and rescue, ogni altro inquadramento giuridico che si è tentato, a partire dal favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, non ha nulla a che vedere". Procedendo nella sua requisitoria, Ferrara ha aggiunto che il tema del processo in corso sono i diritti dell'uomo, "la salute e la libertà personale che prevalgono sul diritto a difendere i confini". Per Ferrara, "solo la terraferma a essere un pos, cioè il place of safety, in altre parole il posto più sicuro. E questo lo ha ribadito anche la Corte di cassazione". Quindi, aggiunge Ferrara, il governo "aveva l'obbligo di rilasciare il pos" perché "svolge una funzione pubblica interviene anche a tutelare i diritti di chi è sotto il suo controllo". E in quel momento i migranti, ha dichiarato il pubblico ministero, "erano sotto il controllo dello Stato". Nella tesi di Ferrara, i migranti "prima si fanno scendere e poi si redistribuiscono, altrimenti si rischia di fare politica su persone che stanno soffrendo".

La risoluzione Msc, prosegue il pm, "dice che la nave non viene considerata un luogo in sicurezza, anche se è luogo temporaneo di sicurezza, e dovrebbe essere sollevata. Pertanto la nave può esser considerato solo un pos temporaneo". E quindi, per sostenere la sua accusa, e chiedere la condanna per l'ex titolare del Viminale, Ferrara, ricorda che "anche i terroristi, i criminali se in pericolo in mare hanno il diritto di essere salvati. Uno Stato, che non è un criminale, li salva e poi li processa". Quindi, smontando la tesi del porto di bandiera, ha aggiunto: "Ma se la nave avesse battuto bandiera panamense l'avrebbero mandata a Panama? Lo ha chiesto il comandante De Falco durante il dibattimento per smontare la tesi che la nazione della nave dovesse accogliere l'imbarcazione. Ogni Stato che viene informato della situazione di pericolo ha l'obbligo di emettere il Pos. Non c'entra nulla il Paese della nave".

Poi, ha proseguito Ferrara, "Salvini, per limitare lo sbarco, decide che qualunque nave che opera salvataggi in mare commette il cosiddetto 'passaggio non inoffensivo' perchè pregiudizievole della sicurezza dello Stato. Ma occorrono degli elementi concreti per attuare questa norma". E i teste, a suo avviso, non "hanno confermato tale dato. Siamo in presenza di persone in difficoltà in mare, uomini, donne e minori, che soffrono a cui sono stati negati i loro diritti fondamentali". E all'accusa mossa da più parti di portare avanti un processo politico, il pm si è difeso sostenendo che "è pacifico che qui di atto politico non c'è nulla. Sono stati compiuti atti amministrativi, il rilascio di un pos è un atto amministrativo, gli atti politici sono caratterizzati da requisiti ben precisi".

Il commento dell'avvocato di Salvini

Il legale del ministro, l'avvocato Giulia Bongiorno, durante una pausa dell'udienza, ha dichiarato ai giornalisti presenti che quella del pm Ferrara è "una requisitoria un po' contraddittoria, direi, perché la premessa è 'non stiamo processando il governo' poi, però, finora ha detto che il decreto sicurezza bis 'è in contrasto con la Costituzione' e che 'non è accettabile prima redistribuire e poi sbarcare'. E che 'il tavolo tecnico è un tavolo che ribaltava dei principi fondamentali'". E ancora, ha aggiunto l'avvocato, "il pm che ha detto che non voleva essere un intervento contro la politica, nel momento in cui dice che un tavolo tecnico a cui partecipava l'attuale capo della Polizia, le direttive e i decreti sono inaccettabili, intollerabili e in contrasto con i diritti umani, in realtà, sta processando la linea politica di quel governo. Vedremo più tardi".

Al termine dell'udienza, l'avvocato Bongiorno ha spiegato che dai pm "è stato tratteggiato un quadro non corrispondente alla realtà". Nello specifico, ha proseguito il legale di Matteo Salvini, "èstato detto in requisitoria che le decisioni di ritardare lo sbarco dopo le redistribuzione era esclusivamente di Salvini ma così non è, perché se andate a vedere le dichiarazioni pubbliche di altri ministri, tutti rivendicavano orgogliosamente i respingimenti".

Il punto di questo dibattimento, ha detto ancora Bongiorno, "è che basta esaminare gli atti e non fare ipotesi e teoremi per rendersi conto che durante tutto il processo c'è stata la correttezza dell'operato di Salvini, la massima attenzione alla salute dei migranti". Il ritardo imputato all'allora ministro dell'Interno nel rilascio del porto "è minimo rispetto a quello che quotidianamente si registra quando devono sbarcare i migranti".

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