I pm lo vogliono in carcere. Salvini ora rischia 6 anni

Arriva il giorno della requisitoria nel processo "Open Arms". La procura verso una richiesta pesante, ma Bongiorno è ottimista

I pm lo vogliono in carcere. Salvini ora rischia 6 anni
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Lui non ci sarà. Il suo avvocato, Giulia Bongiorno, esibisce un velo di ottimismo: «Aspettiamo, il processo non è andato male». Il grande giorno è infine arrivato: si annuncia una maratona giudiziaria nell'aula bunker di Pagliarelli, alla periferia di Palermo.

La parola va ai pm del processo Open Arms che terranno la requisitoria contro Matteo Salvini, imputato come ex ministro dell'interno di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio. Nel pomeriggio, probabilmente, al termine di una vera e propria staffetta oratoria con tre pm che si alterneranno al microfono, conosceremo la richiesta della procura di Palermo: «Rischio 15 anni di carcere per aver fatto il mio dovere», ha sempre ripetuto il segretario della Lega. E in effetti, se si guarda l'articolo 605 del codice penale, si scopre che la pena, in presenza di minori, va da 3 a 15 anni.

Ma è improbabile, anzi inverosimile, che i magistrati possano chiedere una pena così alta, paragonando Salvini a un capo dell'Anonima. I tecnicismi possono portare di qua e di là, ma resta il dato politico che oggi farà il giro del mondo: 4, 5 o forse sei anni di carcere proposti dall'accusa per l'allora titolare del Viminale che teneva la linea dura sui migranti.

È l'estate del 2019 e Salvini vieta lo sbarco dei 147 migranti raccolti dalla nave della Ong spagnola. Per la procura in quei giorni concitati e drammatici andò in scena un «sequestro di persona». Di più, Salvini avrebbe agito «in violazione di convenzioni internazionali e di norme interne in materia di soccorso in mare e di tutela dei diritti umani». Non basta, tutto questo sarebbe avvenuto «abusando dei poteri allo stesso rimessi quale autorità nazionale di pubblica sicurezza».

Naturalmente, questo è il dato giudiziario, poi c'è quello politico: Salvini traduceva in atti le sue idee, condivise peraltro per un lungo periodo anche da Giuseppe Conte, capo di quel governo che arrivò al capolinea proprio in quelle giornate convulse di fine estate. Subito dopo, il 5 settembre, l'esecutivo cadeva e le strade di Conte e Salvini, ormai ai ferri corti, si dividevano definitivamente. Resta questa coda che si agita in un'aula di giustizia. E rimane, a parere di chi scrive, il peccato originale del Senato che diede semaforo verde alla magistratura, negato invece in altre situazioni analoghe. Cinque anni dopo siamo alla requisitoria. Salvini, come detto, non verrà, ma sarà in udienza il 18 ottobre quando a parlare sarà il suo difensore, l'avvocato Bongiorno. Quella è la data sul calendario in cui la Lega cercherà di ribaltare mediaticamente il dibattimento, presentato come una persecuzione nei confronti di un uomo di stato, colpevole solo di aver difeso il proprio Paese. Il braccio di ferro si protrasse per tre settimane nell'estate del 2019: l'equipaggio della ong denunciava a bordo condizioni igieniche sempre più precarie e un intollerabile stato di prostrazione dei migranti, sfiniti da un'odissea interminabile. Col rischio di malattie e infezioni per donne e bambini che avevano già dovuto sopportare sofferenze indicibili.

Ma Salvini ha sempre risposto che i diritti umani furono tutelati e nessuna vita umana messa a repentaglio. Se l'eventuale pena dovesse superare i 4 anni di carcere, per Salvini si aprirebbero le porte del carcere. Ma questo naturalmente solo dopo una ancora più ipotetica conferma della cassazione.

Per ora si aspettano le mosse sul pallottoliere dell'aritmetica giudiziaria del procuratore aggiunto Marzia Sabella e dei pm Calogero Ferrara - applicato a questo procedimento ma ormai in forza alla Procura europea - e Giorgia Righi. La sentenza arriverà entro la fine dell'anno.

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