Mazzata per Google. Secondo quanto stabilito dal giudice federale Amit Mehta, della Corte distrettuale del District of Columbia, il Colosso ha agito illegalmente per mantenere il monopolio dei motori di ricerca online. Nella sentenza di 277 pagine vengono evidenziate le violazioni della legge antitrust, sancendo di fatto la clamorosa sconfitta del gigante hi-tech nel procedimento nato in seguito alla denuncia del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e di vari Stati a stelle e strisce.
Entrando nel dettaglio, secondo quanto stabilito dal giudice federale Google ha pagato miliardi di dollari ogni anno ad altre aziende come Apple e Samsung per garantire che il suo fosse il motore di ricerca di default nelle ricerche su smartphone e nei browser. “Dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove, la corte giunge alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio”, quanto stabilito dal giudice.
Come evidenziato dalla Cnn, Google ha investito miliardi di dollari in contratti esclusivi per assicurarsi una posizione dominante, bloccando di fatto i potenziali rivali come Bing e DuckDuckGo di Microsoft. In particolare, gli accordi esclusivi con Apple e gli altri attori chiave dell’ecosistema mobile erano anticoncorrenziali. Inoltre, Google ha applicato prezzi elevati nella pubblicità di ricerca che riflettono il suo potere di monopolio nella ricerca. Il meccanismo è semplice e ben rodato: il gigante dell’hi-tech è la piattaforma più facile e veloce alla quale rivolgersi e questo a sua volta ha alimentato l’enorme attività pubblicitaria (240 miliardi di dollari di entrate solo l’anno scorso).
Google farà appello contro la decisione e si prospetta uno scontro in tribunale sino alla Corte Suprema statunitense. Al momento, la decisione del giudice Mehta dà ragione al dipartimento di Giustizia, che intentò la causa quattro anni fa, quando alla Casa Bianca c’era ancora Donald Trump. Dal canto suo, Google ha provato a ridicolizzare le accuse, evidenziando che i consumatori hanno storicamente cambiato motore di ricerca quando sono rimasti delusi dai risultati che stavano ottenendo. Emblematico, secondo la difesa, il caso di Yahoo, motore di ricerca più popolare negli anni Novanta prima dell’arrivo di Google sul mercato.
In seguito a questa sentenza, si apre un’altra fase nella quale i giudici saranno chiamati a individuare i tipi di cambiamenti o le sanzioni da comminare a Google. Tra le ipotesi sul tavolo, l’obbligo di smantellare alcuni dei pilastri del suo impero di internet oppure una sorta di tetto massimo di investimenti per “mantenere il predominio”.
In secondo piano, invece, una multa pecuniaria, che avrebbe scarsi effetti su un gigante del calibro di Google. Ricordiamo che già a dicembre una giuria federale californiana puntò il dito contro il monopolio illegale del colosso in relazione al suo app store. La corte è al lavoro per individuare le possibili contromisure.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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