La famiglia di Ali Daei bloccata mentre lasciava l’Iran: cosa è successo

L'aereo che trasportava la moglie e le figlie del famoso ex calciatore iraniano è stato dirottato dalle autorità prima di arrivare a Dubai. Questa non sarebbe che l'ultima intimidazione nei confronti di Ali Daei, sostenitore vocale della protesta contro il regime

La famiglia di Ali Daei bloccata mentre lasciava l’Iran: cosa è successo

Il sostegno alla rivolta contro il regime teocratico rischia di costare sempre più caro ad Ali Daei, stella del calcio persiano che aveva causato molto scompiglio durante i mondiali in Qatar. Secondo l’Associated Press, il volo che trasportava la moglie e la figlia a Dubai è stato dirottato dalle autorità su un’isola nel Golfo Persico, dove gli è stato impedito di lasciare il paese. Il calciatore, popolarissimo in Iran, ha dichiarato che la famiglia era partita con il volo W563 della Mahan Air dall’aeroporto internazionale di Teheran ma è stato costretto ad atterrare sull’isola di Kish, dove alla moglie e alla figlia è stato impedito di proseguire il viaggio verso l’emirato del Golfo. A sentire il calciatore, la famiglia non stava affatto lasciando il paese ma sarebbe tornata nella capitale persiana la settimana prossima. Né la linea aerea né le autorità del paese mediorientale hanno rilasciato dichiarazioni a riguardo, alimentando il sospetto che si tratti dell’ennesimo avvertimento nei confronti della stella del pallone, che non ha mai nascosto il suo supporto alla rivolta successiva alla morte della 22enne Mahsa Amini lo scorso settembre.

La protesta ormai è diventata una vera e propria rivoluzione, repressa ferocemente dal regime. Secondo l’associazione Human Rights Activists, 507 civili hanno perso la vita e oltre 18500 persone sono state arrestate, cifre che sono state considerate prive di fondamento dalle autorità iraniane. Il caso della famiglia di Ali Daei non è affatto isolato: ieri la Guardia Rivoluzionaria ha comunicato di aver arrestato sette individui nella città di Kerman che, a loro dire, sarebbero “direttamente collegate” con il governo britannico. Non è la prima volta che cittadini col doppio passaporto sono arrestati con motivazioni più o meno fantasiose e condannati in processi a porte chiuse. I gruppi per i diritti umani affermano che questi arresti hanno l’unico scopo di fornire al regime pedine da scambiare coi governi occidentali, accusa anch’essa respinta duramente dalle autorità iraniane.

Iran Qatar bandiera senza stemma
Tifosa con bandiera iraniana senza lo stemma islamico

Il calcio contro il regime

In realtà questo non è che l’ultimo episodio della lotta che vede il regime disposto a tutto pur di ridurre al silenzio l’ex capitano della nazionale iraniana, sempre più vocale nell’invitare alla resistenza i milioni di cittadini che ormai chiedono apertamente la caduta del regime degli ayatollah. La prima volta che la superstar del calcio è apparsa sui radar dei media occidentali è stato lo scorso 15 novembre, quando annunciò che non avrebbe partecipato al mondiale in Qatar in solidarietà con chi nel suo paese protestava contro il regime. In un messaggio sul suo profilo Instagram aveva rifiutato l’invito della Fifa, dicendo che lui e la famiglia sarebbero rimaste in Iran, vicini a chi stava lottando per la libertà, per sostenere i parenti di chi aveva perso la vita nella repressione governativa. Ali Daei non sarà molto conosciuto in Italia ma ha alle spalle una carriera incredibile, con ben 109 reti segnate dal 1993 al 2006 con la maglia della nazionale persiana, un record battuto solo l’anno scorso da un certo Cristiano Ronaldo. Fin da quando ci sono state le prime rivolte il calciatore si era schierato senza se e senza ma con chi protestava. Qualche giorno dopo aveva fatto sapere che le autorità gli avevano sequestrato il passaporto per qualche giorno, un messaggio intimidatorio che, evidentemente, non è riuscito nel suo intento.

Una escalation di minacce

L’esempio di Ali Daei era stato seguito da molti altri atleti, inclusi alcuni dei convocati da Queiroz per il mondiale iraniano, a partire dall’attaccante Sardar Azmoun, che senza l’intervento del tecnico portoghese sarebbe rimasto a casa. L’avanti del Bayer Leverkusen era stato tra coloro che si erano rifiutati di cantare l’inno della repubblica islamica al debutto del Team Melli contro l’Inghilterra. La figuraccia planetaria non ha fatto che intensificare la pressione su di lui, con minacce sempre più esplicite. Dal suo profilo Instagram, uno dei pochi social media concessi dalla censura di regime, aveva fatto sapere che “io e la mia famiglia abbiamo ricevuto numerose minacce negli scorsi giorni da parte di gruppi organizzati, dai media governativi e telefonate anonime. I miei genitori mi hanno insegnato a rispettare l’onore, il patriottismo e la libertà. Cosa volete raggiungere con queste minacce?”. Per tutta risposta, l’ex calciatore aveva chiesto apertamente che tutti i manifestanti arrestati dalla polizia venissero rilasciati immediatamente.

Tifosi Iran

Con il regime che fatica sempre di più a reprimere le proteste, le più massicce dalla rivoluzione che portò Khomeini al potere nel 1979, i calciatori sono sempre più nel mirino delle autorità. Non è dato sapere se Ali Daei sarà costretto a subire ripercussioni ancora più pesanti, ma non sarebbe la prima volta che un calciatore finisce in carcere per aver appoggiato la protesta. A metà novembre era toccato ad un calciatore molto popolare, nel giro della nazionale, Voria Ghafouri. Il calciatore di origine curda era stato arrestato per aver “incitato il popolo alla rivolta” e “comportamenti disonorevoli ed ingiuriosi nei confronti della nazionale di calcio iraniana”. A dire il vero, Ghafouri era già finito nel mirino del regime prima della morte di Mahsa Amini, tanto da esser licenziato lo scorso maggio dall’Esteghlal, la squadra più ricca e seguita del calcio persiano, per aver criticato il governo per aver represso nel sangue le proteste per l’inflazione galoppante.

Insomma, questo non potrebbe che essere l’ennesimo segnale dell’escalation in corso in Iran e di come il governo sia davvero disposto a tutto pur di silenziare le voci che, sempre più numerose, chiedono al regime teocratico di farsi da parte.

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