La furia iper-progressista fa male agli affari. A sostenerlo non è qualche conservatore brutto e cattivo, ma la realtà dei fatti. Il caso Budweiser è emblematico, con decine di miliardi di dollari andati in fumo dopo aver scelto l'attivista trans Dylan Mulvaney come testimonial di una birra. Il gigante del luppolo non è l’unico ad aver fatto dietrofront, puntando su un ritorno alle origini. Nelle ultime settimane si è parlato molto dell’inversione di marcia di Victoria's Secret. Arrivata in piena era post-#MeToo, la svolta woke non ha rispecchiato le attese, anzi: il fatturato cade a pezzi.
Sfilate trasmesse in più di cento Paesi, milioni di telespettatori, top model tra cui Gisele Bündchen, Heidi Klum, Tyra Banks, Kendall Jenner e Gigi Hadid. Sfilando sulla passerella con ali di piume bianche alte tre metri, gli “Angeli” di Victoria’s Secret sono stati un fenomeno culturale globale. Donne alte, magre e belle in biancheria intima, il sogno di ogni adolescente etero e l’aspirazione di ogni giovane ragazza. Una linea di successo, ma aspramente criticata: dallo sfruttamento dell'immagine della donna alla discriminazione nei confronti di determinate modelle.
In più, nel 2018 Victoria’s Secret ha dovuto fare i conti con un calo di vendite piuttosto considerevole e i vertici del colosso della lingerie hanno dato ascolto alla corrente dei risvegliati: per tornare leader nel settore non bisogna più puntare su supermodelle di etnia caucasica, ma sull’inclusività. Addio sfilate sensuali, stop a scatti stuzzicanti. Body positivity come stella polare: abbandonare categoricamente la perorazione di uno standard fisico fuori dall’ordinario e la (presunta) mercificazione della donna.
Un cambio di strategia comunicativa accolto con entusiasmo dall’universo woke. “Sostenere le donne”, il manifesto artistico: spazio a modelle oversize, disabili, transgender. Tra i testimonial l’indossatrice plus size Paloma Elsesser, la trans Valentina Sampaio e la stella del calcio Megan Rapinoe. Nessun giudizio, sia chiaro: la libertà è sacra. Ma le forzature un po' meno. Il messaggio era chiaro: Victoria’s Secret espia i peccati del passato di “non inclusione”. A testimonianza di ciò, i grandi investimenti nelle iniziative inclusive tra reportage in Nigeria e documentari sulla sfera indipendente.
Tantissimi like, il sostegno del mondo Lgbt, aspettative alte verso incassi da capogiro. Ma Victoria’s Secret ha fatto male i conti, come molte altre aziende americane che hanno forzato principi per evitare polemiche. Anziché aumentare, le vendite sono diminuite drasticamente: il fatturato del 2023 sarà in ribasso di 1,1 miliardi di sterline rispetto al 2020. Cifre choc, con buona pace dei talebani della correttezza politica.
Spaventato dalla crisi del brand, il manager Greg Unis ha deciso di tornare alle origini.
Nell’ultimo vertice con gli azionisti ha posto l’accento sulla necessità di un dietrofront: riecco la sensualità, riecco le supermodelle, riecco gli ammiccamenti erotici. “La sensualità può essere inclusiva”, il nuovo credo di Victoria’s Secret, con Adriana Lima e Gisele Bündchen in prima linea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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