"Questa potrebbe essere l'ultima cosa che scrivo". La confessione di Paul Auster al Guardian

Il 19 novembre 2023, in occasione dell'uscita del romanzo Baumgarten, lo scrittore rilasciò al Guardian quella che poi si rivelò essere la sua ultima intervista

"Questa potrebbe essere l'ultima cosa che scrivo". La confessione di Paul Auster al Guardian
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"Questa potrebbe essere l'ultima cosa che scrivo". Sono state queste le parole, quasi profetiche, pronunciate dallo scrittore statunitense Paul Auster, morto oggi all’età di 77 anni per le complicazioni dovute a un cancro ai polmoni, in una lunga intervista rilasciata al quotidiano londinese The Guardian lo scorso 19 novembre. Un giorno, questo, non come un altro. Si era, infatti, alla vigilia dell'uscita del suo nuovo romanzo Baumgarten, opera pubblicata nel nostro Paese da Einaudi il 21 novembre del 2023. Un libro che oggi si può considerare un po’ come il saluto di uno dei maestri del postmodernismo americano agli affezionati lettori e ai tantissimi fan.

Il male scoperto poco alla volta. Sul finire del 2022, Auster, così come ha confidato lui stesso, iniziò ad avere "misteriose febbri che mi colpivano nel pomeriggio". Sembrava un malessere passeggero. Del resto, racconta l’Adnkronos, in un primo momento gli era stata diagnosticata una polmonite. Il tempo passa e il male viene scoperto. Cancro è una parola che nessuno vorrebbe sentire, un termine che incute profondo timore nonostante i progressi nel campo medico. "Da allora le cure sono state incessanti e non ho più lavorato. Ho affrontato un rigore che ha prodotto miracoli e anche grandi difficoltà", ha affermato lo scrittore in quella che si è rivelata essere la sua ultima intervista.

La situazione precipita nel marzo 2023. In quel periodo la seconda moglie di Auster, la scrittrice Siri Hustvedt, aveva rivelato non solo che il suo Paul era stato "bombardato con la chemioterapia e l'immunoterapia" ma che ormai la coppia viveva in quella che lei chiamava "Cancerlandia". Un mondo solo all’apparenza immaginario. Perché dolore e sofferenza erano reali. Troppo reali. Un luogo, come affermò Auster, per il quale "non ci sono mappe e non si sa se il passaporto è valido per uscire da questa terra ignota. C'è però una guida che si mette in contatto proprio all'inizio. Controlla che il nome sia corretto e poi dice: 'Sono della polizia oncologica. Dovete seguirmi’ E tu cosa fai? Dici: 'Va bene’. Non hai scelta, perché ti dice che se ti rifiuti di seguirlo ti ucciderà. Io ho detto: 'Preferisco vivere. Portami dove vuoi’. E da allora ho seguito quella strada".

La lotta tra la vita e la morte. E quella consapevolezza che l’esistenza è sempre in bilico. Perché basta un attimo e tutto può modificarsi. Anche la certezza più solida. Un concetto, quest’ultimo, rilanciato proprio nell’ultima intervista. In quell’occasione, Auster raccontò di essere stato affascinato dall'idea di un momento che cambia la vita a seguito di un incidente d'infanzia. Durante un campeggio estivo, un ragazzo accanto a lui fu colpito e ucciso da un fulmine. Un evento che ha fornito il punto di partenza per il romanzo dal titolo 4 3 2 1. "È stata l'esperienza fondamentale della mia vita. A 14 anni tutto ciò che si vive è profondo. Sei un work-in-progress. Ma essere accanto a un ragazzo che è stato essenzialmente ucciso dagli dei ha cambiato la mia visione del mondo", ha Aster aggiungendo di aver dato per scontato che "le piccole comodità borghesi della mia vita nel New Jersey suburbano del dopoguerra avessero una sorta di ordine. E poi mi resi conto che nulla aveva quel tipo di ordine".

Da allora Auster ha ammesso di aver vissuto con questo pensiero. “È agghiacciante – aveva concluso- ma anche liberatorio. Ti tiene sulle spine.

E se riesci a imparare questa lezione, allora certe cose nel mondo sono più sopportabili di quanto sarebbero state altrimenti. Credo che l'impulso a scrivere e raccontare storie sia diverso per ogni scrittore. Ma credo che questa sia l'essenza di ciò che ho fatto in tutti questi anni".

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