Calcio e "sportwashing": così l'islam si diffonde in Europa

La massiccia campagna di acquisti di superstar del pallone e club in Europa sono un segnale della volontà dei Paesi islamici di diffondere i loro usi e costumi religiosi nel mondo Occidentale tramite lo sport più seguito al mondo

Calcio e "sportwashing": così l'islam si diffonde in Europa
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I tentacoli dell'Islam affondano anche negli stadi. L’allarme terrorismo, tornato oltre i livelli di guardia con lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, ha acceso i riflettori su tutte le vie tramite cui la religione islamica può infiltrarsi in Europa e causare un aumento potenzialmente esponenziale dei soggetti radicalizzati. Una di queste strade è il calcio, lo sport più seguito al mondo. Il tema è stato portato all’attenzione del parlamento di Strasburgo dal gruppo Ecr (Conservatori e riformisti europei) tramite il report “Islamball: il calcio come strategia di soft power nel cuore d’Europa”. L’argomento ha assunto un’importanza rilevante dopo i numerosi messaggi in favore della causa palestinese e di Hamas diffusi da calciatori famosi di religione islamica.

Il documento è stato portato anche all’attenzione della Camera dei deputati italiana il 23 ottobre, grazie all’europarlamentare di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini. “Una forma di penetrazione del mondo islamico in Europa che dobbiamo stare attenti a non far diventare una attività per agevolare fenomeni di radicalizzazione”, ha affermato il deputato. “Sono necessari adeguati controlli sul fiume di denaro già in circolazione in Europa e che, verosimilmente, è destinato ad aumentare nei prossimi anni”.

Il fenomeno ha iniziato a manifestari con maggior forza dopo lo svolgimento dei primi mondiali in un Paese islamico, il Qatar, e la massiccia campagna di acquisti di superstar del pallone effettuata dall’Arabia Saudita. In entrambi i casi, si è assistito a quello che gli esperti definiscono “sportwashing”, ovvero il tentativo degli Stati, in cui i diritti umani basilari non vengono rispettati, di ripulire la propria immagine tramite lo sport. I due Paesi, dunque, hanno utilizzato il calcio come un’arma di distrazione di massa per spostare l’attenzione da questioni come le condizioni di semischiavitù degli operai stranieri in Qatar, che hanno causato la morte di circa 6.500 lavorati impiegati nella costruzione delle infrastrutture per il campionato, o i numerosi arresti di dissidenti e le condanne degli omosessuali in Arabia Saudita.

Gli Stati del Golfo hanno sempre mascherato questa loro fulminea espansione nel mondo dello sport con una giustificazione di natura economica, legata alla necessità di differenziare i loro introiti e non basarli solamente sul petrolio. Una risorsa, questa, che prima o poi finirà. Il modo in cui le manifestazioni sportive vengono utilizzate per sostenere e diffondere la religione musulmana, però, hanno reso evidente la volontà di fare proseliti e imporre i costumi e le abitudini dell’islam anche fuori dai Paesi arabi, nell'ambito della cosiddetta "tecnica dell'usura" teorizzata dai Fratelli musulmani che prevede una sovversione dei valori occidentali tramite una penetrazione sempre più consistente in ambito sociale ed economico.

Sempre durante i mondiali in Qatar, le donne straniere si sono viste offerto l’hijab fuori dagli stadi e il governo di Doha ha persino reclutato un gruppo multinazionale di predicatori per guadagnare nuovi fedeli tra le orde di tifosi giunti da tutto il mondo. In Arabia Saudita, invece, il calciatore brasiliano Neymar è stato duramente contestato perché, al suo arrivo nel Paese, indossava una collana con un crocifisso. Cristiano Ronaldo, invece, ha dovuto subire feroci critiche per aver fatto il segno della croce dopo un gol. Queste due star del pallone, assieme ad altri colleghi, sono stati costretti anche a girare un video in abiti tradizionali in occasione dell’anniversario della nascita dell’Arabia Saudita.

Imposizioni di aspetti culturali e religiosi islamici si sono registrate anche in Europa, in particolare nel Regno Unito. La Football association, la federazione calcistica inglese, ha imposto orari e regole differenti per i giocatori musulmani durante il periodo del Ramadan, esattamente come avviene nei Paesi arabi.

Diverse squadre hanno ospitato i seguaci di Allah nei loro stadi per la preghiera del venerdì e nel 2022 l’agenzia “Nujum sport” ha prodotto la “La Carta dell’atleta musulmano”, un documento di chiara natura religiosa che fornisce indicazioni ai vari club su come rispettare e sostenere i propri giocatori islamici.

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