In Italia abusiamo di antidolorifici e anti infiammatori da banco, i Fans, ma siamo tra i paesi più “cauti” d’Europa nella prescrizione degli oppiacei. Non solo, ma mai nel nostro Paese si potrebbe verificare un’epidemia “istituzionalizzata” come quella che ha messo in ginocchio gli Usa, prima con l’ossicodone e poi con il Fentanyl. E quindi anche l’uso delle due sostanze non va demonizzato come invece ha fatto il coreografo Luca Tommasini che, dopo un intervento al cuore, si è rifiutato di assumere il Fentanyl. A spiegarci come mai è Silvia Natoli, responsabile dell’Area culturale dolore e cure palliative di Siaarti e professoressa di Anestesia, rianimazione e terapia del dolore all’università di Pavia.
In Italia potrebbe mai scoppiare un caso simile a quello dell’OxyContin in America, un’epidemia da oppiacei?
“Assolutamente no. Innanzitutto, l’epidemia di ossicodone è nata da una truffa e da un’enorme fake news diffusa senza fondatezza scientifica. Negli Stati Uniti era stato detto che il farmaco non provocava dipendenza, sono stati corrotti medici ed alti esponenti delle autorità sanitarie per diffondere le prescrizioni. E poi perché c’è un sistema sanitario molto diverso dal nostro”.
È vero che negli Stati Uniti anche gli infermieri potevano prescrivere l’Oxycontin?
“Questo avviene in molti stati. Inoltre, il sistema sanitario privato sovvenzionato dalle assicurazioni ha indotto la pratica che dopo gli interventi chirurgici: pur di liberare posti letto in ospedale e non sostenerne i costi, i pazienti venivano mandati a casa con percorsi “fast-trak”, il trattamento rapido: in molti casi questo ha comportato protocolli di antidolorifici con dosi da cavallo, uguali per tutti, per un tempo necessario a coprire il periodo post operatorio. Poi basta, senza diminuirle gradualmente. L’assicurazione non passava più il farmaco. I pazienti si trovavano a sviluppare una dipendenza fisica. Non psichica”.
Quindi una dipendenza “indotta” dal sistema sanitario?
“L’ossicodone è stato trattato come un farmaco da banco. E c’è stata la pretesa di trattare il dolore di tutti senza controlli, senza terapie personalizzate. Per di più, negli Stati Uniti c’è un approccio diverso sia al dolore sia ai farmaci: gli antidolorifici come l’ibuprofene, vengono venduti nei supermercati in barattoloni da 500 compresse come fossero caramelle”.
Da noi invece come funziona la gestione del dolore e degli oppiacei?
“Dal 2010, la legge 38 ha liberalizzato la prescrizione degli oppiacei: li possono prescrivere tutti i medici. Ma per ogni ricetta, si può prescrivere il quantitativo necessario per un mese e seguendo i pazienti, incontrandoli durante le visite. Non solo, prima di poter fare le ricette, i medici hanno seguito un’attenta formazione”.
L’epidemia in Usa, il rifiuto del Fentanyl da parte del coreografo Tommasini. In Italia cresce la diffidenza verso gli oppiacei a scopo terapeutico?
“Anche da noi c’è chi parla di anestesia senza oppiacei. Ma ovviamente quelli utilizzati sono sotto stretto controllo medico, non sono possibili abusi. Da noi, dopo anni in cui eravamo molto indietro (nel 2020 eravamo gli ultimi in Europa per i mg di morfina prescritti), si è sviluppata una buona cultura medica sulle terapie del dolore: abbiamo istituito centri specializzati che mettono in atto varie tecniche analgesiche, non solo quelle a base di farmaci”.
Quali?
“Penso alle crioablazioni, alla radiofrequenza, alla neurostimolazione spinale. Sono tecniche utili nella gestione multimodale del dolore cronico (cioè quello che dura per più di 12 settimane e che va ben oltre il periodo di guarigione della lesione). Passi da gigante sono stati fatti anche grazie all’uso degli ecografi per mirare le infiltrazioni di nervi e articolazioni come l’anca o la spalla: questo evita l’eccesso di farmaci, aspetto interessante soprattutto nella gestione del dolore degli anziani. Il problema è che i costi delle radiofrequenze o delle terapie alternative ai farmaci è alto e non sempre il Ssn copre le spese. Questo è uno degli aspetti da risolvere. Inoltre non tutti i tipi di dolore sono suscettibili a questi trattamenti e si tratta di procedure non definitive, anche se ripetibili nel tempo”.
I centri anti dolore funzionano?
“Esistono in tutte le regioni, ma non tutte le regioni hanno creato un percorso e spesso manca il personale. Nelle regioni virtuose invece, il medico di base sa che, quando non sa come gestire il dolore cronico del paziente, può rivolgersi a una rete di specialisti”
La gestione del dolore in Italia parte dal presupposto che il dolore sia soggettivo.
“Lo è. E anche gli Stati Uniti ora se ne sono resi conto: hanno capito che il dolore non è risolvibile con una pillola uguale per tutti, né con dosi elevate. L’approccio non deve essere bio-medico ma bio-psico-sociale: bisogna considerare gli aspetti psicologici e sociali del paziente che si ha di fronte. E va considerato anche il suo rischio a sviluppare una dipendenza.
Ora anche gli Stati Uniti hanno fissato dei limiti: nel dolore cronico non oncologico è sconsigliato prescrivere più di 40-60 mg di ossicodone al giorno, cioè l’equivalente di 50-90 mg di morfina. Dosi che raramente vengono raggiunte in Italia”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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