Prigioniera e abusata dal padre: la storia di Elisabeth è la serie più vista su Netflix

Una serie tv ripercorre la vicenda di Elisabeth Fritzl, donna austriaca sequestrata e abusata dal padre per 24 anni

La casa-prigione di Elisabeth Fritzl
La casa-prigione di Elisabeth Fritzl

Un fatto di cronaca così terribile che, durante il processo per stabilire responsabilità e pena, i giurati non riuscirono a visionare tutte le prove raccolte. Una vicenda che ha dato vita a diverse trasposizioni mediatiche: l’ultima in ordine di tempo è la miniserie NetflixLa mia prediletta”, al momento al primo posto tra le serie più viste in Italia. Si tratta del caso Fritzl, ovvero l’imprigionamento, la riduzione in schiavitù e lo stupro reiterato di una donna, Elisabeth Fritzl, la cui storia ricorda molto quella di Natasha Kampusch, tranne che per un dettaglio ancor più agghiacciante: il carceriere della donna non era uno sconosciuto, come nel caso Kampusch, ma una delle persone che avrebbe dovuto prendersi cura di lei e volerle bene, suo padre.

La prigionia

Il 28 agosto 1984, la 18enne Elisabeth Fritzl, che aveva appena ottenuto un lavoro come cameriera a Linz, fu sequestrata dal padre, Josef Fritzl. L’uomo, classe 1935 era cresciuto senza il padre - che l’aveva abbandonato per poi morire al fronte - e con una madre abusante e violenta. Nel 1967 Josef commise il suo primo crimine, lo stupro di una giovane per cui fu condannato e per un periodo restò in galera. Nel 1956 aveva sposato Rosemarie, con cui avrebbe avuto 7 figli, tra cui Elisabeth. La madre di lui, Marie, andò a vivere con loro nel 1959, venendo progressivamente sottoposta, a propria volta, a violenze e segregazione, tanto che alla fine morì in una soffitta con le finestre murate nel 1980.

Elisabeth iniziò a essere stuprata dal padre dall’età di 11 anni: quando ne aveva 16 scappò, ma fu trovata dalla polizia e riconsegnata a Josef. Il quale, nel biennio precedente, aveva approntato un bunker nella sua cantina, bunker che passò anche l’approvazione delle autorità edilizie di Amstetten, cittadina della bassa Austria in cui viveva la famiglia, nella Ybbsstrasse.

Josef si fece addirittura aiutare da Elisabeth a trasportare l’ultima porta e a montarla: dopo averlo fatto la fece addormentare con l’etere, la legò e la incatenò a letto. Per 4 anni, andò a trovarla nel bunker, per portarle del cibo o per violentarla. “Dovevo creare un luogo in cui avrei potuto tenere Elisabeth, anche con la forza, se necessario, lontana dal mondo esterno. Non rispettava più nessuna regola. Trascorreva notti intere in squallidi bar, bevendo alcolici e fumando. Ho solo cercato di tirarla fuori da quella miseria”, si giustificò il padre con gli inquirenti, come riporta l’Independent.

A seguito dei numerosi stupri, Elisabeth restò incinta e nell’agosto 1988 nacque Kerstin. Sarebbero nati successivamente altri 6 figli, tra cui Michael, all’interno di una coppia di gemelli. Michael morì pochi giorni dopo il parto e fu cremato dalo stesso Josef, mentre tre dei figli - Alexander, Lisa e Monika - furono portati “in superficie” con uno stratagemma e adottati legalmente da Josef e Rosemary. Josef aveva raccontato alla polizia, a seguito della denuncia di scomparsa, che Elisabeth si sarebbe allontanata volontariamente per unirsi a una setta: i figli sarebbero stati abbandonati da lei stessa, con una lettera in cui specificava che la setta rifiutava i bambini. Naturalmente era solo uno dei tanti depistaggi di Josef, depistaggi che hanno sollevato vigorosamente l’opinione pubblica contro le presunte mancanze dei servizi sociali austriaci, della polizia o degli inquilini che affittavano, di tanto in tanto, una stanza in casa Fritzl.

Ma la realtà è che nessuno avrebbe potuto accorgersene: Josef Fritzl era un ingegnere che aveva studiato tutto nel minimo dettaglio. Per entrare nella stanza di 35 metri quadri - poi diventati 59, scavati con le mani da Elisabeth e gli altri tre figli rimasti con lei (Kerstin, Stefan e Felix) - si dovevano oltrepassare numerose porte, tra cui due blindate e protette da codici. Tutto era insonorizzato e i pochi rumori avvertiti dai vicini furono scambiati per normali suoni delle tubature, la bugia verosimile che Josef aveva spacciato loro.

Elisabeth fu tenuta segregata tra i suoi 18 e i suoi 42 anni, e violentata oltre tremila volte. Lei e tre dei figli erano incapaci di abbandonare il bunker: l’uomo aveva minacciato di ucciderli con il gas se l’avessero fatto. Inoltre aveva detto loro che le porte erano elettrificate e avrebbero preso la scossa.

Ogni volta che andavo al bunker portavo a mia figlia fiori, peluche e libri per i bambini - disse Josef una volta a processo - Guardavo un film d'avventura in video con loro mentre Elisabeth preparava il nostro cibo preferito, e poi ci sedevamo tutti al tavolo della cucina e mangiavamo insieme”. In realtà le forze dell’ordine trovarono sì videocassette nel bunker, ma erano film pornografici: l’uomo costringeva la figlia a vederli e a metterli in pratica con lui.

La liberazione

Il 19 aprile 2008 Kerstin ebbe un grosso problema di salute. Elisabeth convinse Josef a portarla in ospedale: l’arrivo della giovane, dalla pelle ingrigita, con i denti marci, probabili segni di abuso e una grave insufficienza renale, allertò le forze di polizia. Una settimana più tardi Elisabeth riuscì anche a convincere il padre a liberare lei e i figli per poter andare da Kerstin in ospedale. E lì, nel nosocomio statale di Mostviertel-Amstetten, vennero allertate le forze dell’ordine che portarono Elisabeth in caserma e la interrogarono per molto tempo. Ci vollero due ore prima che la donna parlasse, e solo sotto la garanzia che non avrebbe più rivisto il padre. Ma quando lo fece, raccontò tutti i dettagli dell’orrore cui era stata costretta per molti anni. Disse anche, tanti e tali erano gli abusi subiti: “Nessuno mi crederà”.

Il processo

Josef Fritzl fu accusato di omicidio per la morte di Michael, mentre per Elisabeth e gli altri figli le accuse furono di stupro, incesto, coercizione, riduzione in schiavitù e privazione della libertà. E inizialmente l'uomo accampò un’autodifesa per dimostrare di non essere un mostro. “Sapevo che Elisabeth non voleva quello che le avevo fatto - disse - Sapevo che le stavo facendo del male. Ma la voglia di poter finalmente assaggiare il frutto proibito era troppo forte”. E ancora: “È stata una bellissima idea per me. Avere una vera famiglia, anche giù in cantina, con una buona moglie e dei figli”.

Aggiunse anche di essere stato gentile, ma Elisabeth e i figli erano a tutti gli effetti dei prigionieri, terrorizzati e perciò incapaci di ribellarsi. “Abbiamo festeggiato i compleanni e il Natale laggiù. Ho persino introdotto di nascosto in cantina un albero di Natale con torte e regali”, spiegò Josef quasi a giustificare la relazione tossica e abusiva tra lui e loro.

Ma alla fine crollò: nell’udienza in cui vennero mostrati ai giurati i filmati della testimonianza di Elisabeth, lei era lì, sebbene camuffata. Lui la riconobbe, ci fu un incrocio di sguardi. E riuscì a commentare solo: “Mi dichiaro colpevole”. Josef fu condannato all’ergastolo in un manicomio criminale: a 15 anni dalla sentenza, avvenuta nel 2008, potrebbe chiedere la libertà vigilata, ma non è detto che gliela concedano. L'eco dei suoi crimini è ancora molto forte.

Elisabeth e i figli ora hanno un nuovo nome e una nuova vita. Lei si trova in una località sconosciuta, dove pare che i residenti siano molto protettivi nei suoi confronti.

Anche i ragazzi e i bambini, specialmente Kerstin, Stefan e Felix che trascorsero molto tempo nel bunker con lei, stanno vivendo le loro nuove esistenze. Certo, i primi tempi le nuvole e il sole erano per loro sorprendenti, ma il mondo si è rivelato un posto migliore rispetto a quello che conoscevano. “Un paradiso”, come diceva loro sempre Elisabeth.

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