Gli Stati Uniti osservano con attenzione la crisi politica sudcoreana. Yoon Suk Yeol, il presidente del Paese, ha difeso il suo decreto sulla legge marziale definendola una misura "inevitabile" per proteggere la "democrazia liberale della dittatura parlamentare" dell'opposizione. Nell'ultimo discorso alla nazione ha assicurato di rispettare pienamente il suo mandato e di affrontare "con fiducia" le indagini penali e i tentativi di destituirlo. Il messaggio è chiaro: il leader conservatore, colui che ha innescato il terremoto nei palazzi del potere di Seoul, non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. Al contrario, Yoon è apparso a sorpresa tenendo un discorso di circa 10 minuti con un gesto energico e perfino di sfida. Il presidente ha assicurato che decretare la legge marziale corrisponde a un "giudizio politico del presidente", che la sua risoluzione della settimana scorsa è stata "enormemente calibrata" e rappresenta una "decisione costituzionale e un atto di governo" e non una dichiarazione di "guerra civile". Gli Usa sono tuttavia preoccupati dalle conseguenze delle mosse di Yoon...
La preoccupazione degli Usa
La scorsa estate Joe Biden si vantava del fatto che Usa, Giappone e Corea del Sud avessero "fatto la storia". Il presidente statunitense mostrava tutta la sua felicità al termine di un vertice trilaterale andato in scena a Camp David insieme all'allora leader giapponese, Fumio Kishida, e al suo omologo sudcoreano. Un incontro del genere non avrebbe mai potuto aver luogo – ha sottolineato il Financial Times – senza Yoon, un convinto sostenitore degli Usa che ha guidato il riavvicinamento di Seoul a Tokyo, e che ha assunto una posizione più aggressiva rispetto ai suoi predecessori nei confronti di Cina e Corea del Nord.
Adesso che Yoon rischia l'impeachment, a Washington c'è chi si chiede se un nuovo governo sudcoreano, probabilmente di stampo progressista, non potrà complicare – soprattutto sotto la presidenza Donald Trump - gli sforzi fin qui fatti dalla diplomazia statunitense per contrastare l'ascesa della Cina come superpotenza militare. Già, perché Biden era in qualche modo riuscito a creare un asse con Seoul e Tokyo proprio in chiave anti cinese. La conditio sine qua non dipendeva dai leader giapponesi e sudcoreani, entrambi conservatori e ben felici di collaborare con l'amministrazione americana. Ma se Yoon dovesse uscire di scena che cosa succederà alla Corea del Sud?
L'anello debole
La Corea del Sud potrebbe gradualmente allontanarsi dalla struttura di cooperazione di sicurezza trilaterale con gli Stati Uniti e il Giappone. Come se non bastasse, l'imminente arrivo di Trump alla Casa Bianca – un leader che non ha mai apprezzato alleanze o partnership di questo tipo – potrebbe ulteriormente facilitare i piani di un fantomatico governo di sinistra sudcoreano che dovesse succedere a quello guidato da Yoon. Del resto la posizione dello stesso Yoon in politica estera è stata più volte criticata dal partito di opposizione, il Partito Democratico (DPK), e dal suo capo, Lee Jae Myung, favorito per sostituire Yoon in caso di dimissioni anticipate del presidente.
Lee, che dovrebbe anche adottare una linea più conciliatoria con la Corea del Nord e la Russia ed escludere la possibilità di forniture di armi all'Ucraina, ha descritto il riavvicinamento diplomatico della Corea del Sud con il Giappone sotto Yoon come "il momento
più vergognoso e disastroso nella storia diplomatica del nostro Paese". Gli Stati Uniti, dunque, prendono nota di quanto sta accadendo a Seoul. Nella speranza di non veder vanificati tutti i loro sforzi diplomatici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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