Che un uomo geniale, che ha inventato il più famoso social network al mondo e messo da parte un patrimonio da 200 miliardi di dollari, improvvisamente, scopra l’acqua calda è quantomeno bizzarro. Ma meglio tardi che mai. Marck Zuckerberg ha infatti annunciato la cessazione negli Usa dei programmi di fact checking sulle sue piattaforme perché “sono stati troppo politicamente di parte e hanno prodotto più sfiducia di quanta ne abbiano creata”. Toh, ma davvero? Eccola, appunto, l’acqua calda che si suppone sia stata scoperta dopo la doccia fredda della vittoria di Trump.
Sia chiaro: la verifica dei fatti e delle fonti è la pietra angolare della democrazia. Ma il sistema di fact checking di Meta (Facebook, Instagram e Whatsapp) era diventato la sentinella di quel politicamente corretto che ha ammorbato la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti. I primi accenni di retromarcia - dettati sicuramente più da problemi contabili che da scrupoli etici - li avevamo visti la scorsa estate, quando il fondatore di Facebook , in una lettera piagnucolosa inviata alla Commissione Giustizia della Camera americana, aveva ammesso di aver subito pressioni da parte di Joe Biden nel 2021 sui contenuti riguardanti il Covid. Un’ammissione che fotografava una subalternità alla politica democratica che ormai era evidente a tutti, a partire dal ban nei confronti di Donald Trump (ora corteggiato). Ma Zuckerberg, sulle questioni politiche e di libertà di parola, arriva sempre con quella misura di ritardo che ne denota una spiccata faziosità e una certa malafede. Certo, guardando la cosa da un altro punto di vista, a suo modo è anche un segnatempo dall’altissima affidabilità: quando si accorge che una moda politica è terminata, significa che il trapasso è avvenuto oramai da un pezzo e senza alcuna possibilità di resurrezione.
Così dopo la fuga in massa da Facebook, l’acquisizione dell’ex Twitter da parte di Musk nel nome del free speech, la vittoria strabordante dello strabordante Trump e la crescente insofferenza nei confronti del politicamente corretto e delle sue fisime, anche Zuckerberg ha cambiato rotta. Ci voleva così tanto? Sarebbe bastato farsi un giro sui social (magari non sui suoi…) per capire cosa stava sobbollendo lungo le strade e i marciapiedi delle reti, sarebbe bastato forare per qualche istante la bolla radical-milionaria della Silicon Valley per anticipare e non essere un semplice follower. Ma tant’è.
Certo, nel frattempo ci ha tolto dai piedi gli insopportabili fact checker di Facebook, che non sono mai stati scrupolosi verificatori di notizie, ma saputelli faziosi e autoritari rompicoglioni che nel nome di un’ideologia politica mozzavano le gambe virtuali e riducevano all’oblio digitale tutto ciò che non piaceva loro e disturbava i manovratori. Rimangono le loro vedove, cioè tutti quelli che, senza i pretoriani del politicamente corretto, non riescono a stare in un pubblico dibattito aperto a tutti, abituati per anni a non aver controparti, nascosti dietro le barriere degli algoritmi censori. Ora, di fronte al ritorno del free speech si sentono smarriti, orfani di quel mondo social che consideravano come un privè accessibile solo a chi potesse esibire sufficienti credenziali radical.
Basti pensare a come hanno ridotto la lingua dei social - e quindi di tutti noi - a un cimitero di asterischi e schwa: colpire la parola per (dis)educare il pensiero. Oggi però c’è una buona notizia, la tardiva scelta di Zuckerberg suona come una campana a lutto che sancisce la morte definitiva del politicamente corretto. Almeno per come lo abbiamo conosciuto fino a oggi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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